Lunedì, 29 Aprile 2019 14:43

Inno alla speranza

Questo numero è popolato di giovani che marciano a difesa del clima.
A loro è dedicato il dossier, che apre con una parola della scienza e continua con tante esperienze di impegno giovanile, fattivo da anni ben oltre gli scioperi globali.

Particolare attenzione è dedicata all’Africa, le cui aree tropicali sono particolarmente esposte agli effetti del riscaldamento. Nel 2050 sono previsti 50 milioni di profughi ambientali da quelle terre, ma è ancora possibile arginare il degrado del suolo e l’insicurezza alimentare che ne deriva.
C’è speranza!

Lo ha dimostrato Wangari Maathai, pioniera della mobilitazione contro il cambiamento climatico.
Premio Nobel per la Pace 2004, dagli anni Settanta ha coinvolto intere comunità locali del Kenya nella riforestazione del Paese, ispirando tanti e tante giovani e incoraggiando anche azioni politiche sovranazionali. Ricordo il suo sorriso disarmante un giorno di agosto al Mary Ward Centre di Nairobi. Il nuovo millennio era appena iniziato e suor Nuala Brangan aveva organizzato un incontro per le religiose incaricate di “giustizia e pace”. Wangari era stata invitata a parlare del nesso fra corruzione politica e distruzione ambientale. Cominciò da lontano: dalla sua vita e dagli alberi sacri del popolo kikuyu, le cui radici a fittone attingevano acqua dalle profondità della terra. Nelle sue parole, scienza forestale e tradizione ancestrale si intrecciavano in un tessuto a me inedito, ma affascinante. In lei l’impegno per la giustizia socio-ambientale era intriso di intensa spiritualità.

Fino a quel giorno l’avevo vista soltanto nei notiziari televisivi, con le braccia alzate ad agitare la protesta o con la testa sanguinante per le manganellate della polizia. L’avevo immaginata possente e agguerrita come una “leonessa”: nel 1989 non aveva avuto paura di denunciare il governo di Daniel arap Moi per aver destinato Uhuru Park, il più grande parco pubblico di Nairobi, a ospitare un’immensa costruzione privata. Nel 1998 denunciò la lottizzazione della foresta Karura e l’8 gennaio 1999 guidò la protesta di donne e studenti a difesa degli alberi che donavano ossigeno e pioggia alla città di Nairobi e non solo. La repressione fu violenta e lei finì in ospedale.
Davanti a noi, però, non si ergeva una “leonessa” aggressiva, bensì una donna umile e segnata dalla sofferenza. Le brillavano gli occhi quando parlava della rigenerazione dei terreni, ma il volto diventava triste quando accennava al marito che l’aveva ripudiata. Il dossier si conclude con un omaggio a questa pioniera, cui è dedicata anche la copertina del numero.
Ha piantato “speranza”!

Giustizia socio-ambientale e spiritualità costituiscono un binomio anche nell’enciclica Laudato si’, che papa Francesco ha donato al mondo nel 2015: «I giovani esigono da noi un cambiamento. Essi si domandano com’è possibile che si pretenda di costruire un futuro migliore senza pensare alla crisi ambientale e alle sofferenze degli esclusi» (n. 13). Anche l’enciclica incoraggia ad azioni concrete per arginare il riscaldamento climatico.

E la giovanissima Greta Thunberg, con la sua solitaria, silenziosa e ostinata protesta del venerdì davanti al Parlamento svedese, dalla fine di agosto 2018 ha ispirato una moltitudine di studenti a farsi sentire. Il 15 marzo 2019, la prima Marcia globale per il clima ha dato voce a migliaia di giovani iniziative sparse per ogni continente. In varie nazioni si sono già costituiti gruppi di studenti per coordinare meglio le marce che verranno.

Giovani e meno giovani, incluse le imprese dell’economia circolare (cfr. la rubrica di Francesco Gesualdi), intraprendono una varietà di iniziative per salvaguardare l’ambiente: l’indifferenza è debellata ogni volta che, come testimonia Antonietta Potente, «chi ha vissuto metamorfosi esistenziali liberanti le continua a cercare, ogni giorno, come possibilità di vita per ogni essere vivente».
Sì, davvero, c’è speranza!

Last modified on Lunedì, 29 Aprile 2019 15:10

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