Lunedì, 26 Febbraio 2018 20:22

Che “genere” di educazione?

Come bisogna educare i maschi e le femmine? Questa domanda è stata giustamente avvertita come cruciale e imprescindibile dalle società di ogni tempo, perché dall’educazione delle nuove generazioni dipende la tenuta delle concezioni antropologiche, dell’impostazione dei sistemi economici e politici, degli orizzonti religiosi e simbolici su cui ciascuna di esse si regge.

Sguardo critico
Ad esempio, una comunità umana convinta che il sapere debba essere monopolio di uno solo dei due sessi non metterà bambini e bambine nelle medesime condizioni scolastiche: escluderà le une o gli altri dall’accesso all’istruzione, oppure creerà istituzioni formative con percorsi nettamente distinti e connotati, in modo da far acquisire a ciascun sesso solo alcune competenze e non altre. Oppure, se ritiene che gli spazi domestici siano di competenza di un sesso e quelli pubblici dell’altro, farà in modo che fin dalla prima infanzia i giochi, gli esempi, i racconti, i discorsi, gli elogi e le punizioni indirizzino il desiderio di bambini e bambine verso ciò che è ritenuto adeguato al loro essere maschi o femmine.

Analogamente, in una cultura in cui la dualità sessuale venisse letta come differenza di valore non tarderemmo a constatare l’impegno del mondo adulto nel condurre il sesso ritenuto migliore a identificarsi con le dimensioni e le caratteristiche accreditate come più nobili e prestigiose, e a indurre invece coloro che appartengono al sesso reputato come inferiore a interiorizzare un’idea di sé come esseri dipendenti, funzionali, dotati di caratteristiche secondarie e adatti a mansioni e collocazioni sociali simbolicamente accessorie anche se materialmente necessarie.

Si tratta di processi che dovremmo conoscere piuttosto bene, perché sono un asse portante della nostra storia. Da svariati decenni, ormai, abbiamo imparato a riconoscere e interpretare il complesso variabile dei significati che le società attribuiscono all’esistenza di corpi femminili e corpi maschili, e a portare alla luce i canali e i modi attraverso cui essi vengono trasmessi da una generazione all’altra. Di queste varie “educazioni di genere”, antiche quanto la civiltà umana, abbiamo anche messo in luce il portato di iniquità che ha gravato sulla vita delle persone – in primo luogo su quella delle donne. E se in passato ogni pensiero sul maschile e il femminile ha preteso di legittimarsi portando a proprio sostegno l’ordine naturale, oggi noi riflettiamo criticamente sui motivi, i modi, le conseguenze di quelle che sappiamo essere elaborazioni culturali e non dati di natura; riteniamo fondamentale capire chi le ha prodotte, e in forza di quali bisogni e obiettivi.

Oltre l’ordine “naturale”
Questo grande impegno che ha coinvolto e coinvolge studiose e studiosi di ogni disciplina non va però solo a vantaggio della narrazione storica, che in questo modo viene riformulata in termini molto più aderenti alla realtà dei fatti; è anche uno dei più preziosi strumenti che abbiamo per pensare oggi l’educazione delle donne e degli uomini di domani, se vogliamo promuovere soggettività sessuate che siano armoniose, libere, responsabili, non discriminanti, non violente, non ferite, non alienate.

L’attenzione ai modi in cui il genere entra nelle relazioni educative non è un’inutile e magari pericolosa moda, ma un pungolo prezioso che sollecita innanzitutto noi adulti a riflettere sul tipo di donne e di uomini che siamo: sui percorsi, le frustrazioni, i modelli, le risorse che ci hanno plasmato e su come tutto questo influisca, non di rado limitandoli e condizionandoli, su coloro dei quali accompagniamo e orientiamo lo sviluppo.

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Last modified on Lunedì, 26 Febbraio 2018 20:42

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