Mercoledì, 03 Ottobre 2018 13:26

Volti di donna e risvolti di diaconia

Sulla tela dipinta da Sieger Köder, le opere della misericordia raccontate in Matteo 25 sono raccolte nella casa di Betania.

Maria siede intenta all’ascolto mentre versa acqua all’assetato, come un giorno fece la donna di Samaria con l’Uomo che le chiedeva da bere. Marta è tutta presa nel servizio dell’accoglienza al Viandante, davanti alla porta spalancata della Casa. Qui trovano spazio i bisogni che scaturiscono dalle fragilità ferite e dalle necessità di sussistenza del corpo. Qui trova accoglienza il sogno di essere abbracciati con quanto è custodito dentro la valigia sempre un po’ pesante dell’anima.
La scritta in tedesco “Vestiti per il terzo mondo” allarga i confini della Chiesa in uscita e trascrive la scena nel tempo presente: il Risorto si vela nel segno del pane spezzato. All’esterno la croce della Misericordia dona sepoltura a vite che attendono il giudizio che comincerà con le parole: «Ho avuto fame…».
Liturgia e vita si richiamano nell’opera di Köder in un intreccio di cui abbiamo smarrito la forza delle sfumature nelle nostre eucaristie domenicali.

Diaconia molteplice
Parimenti sbiadita è la parola diaconia, che descrive nel modo più espressivo quanto esercitano in molteplici modi i personaggi sulla tela.
Il termine diaconia è di origine greca e viene differentemente tradotto con il più aulico e clericale ministero o con il più prosaico e laicale servizio. Ci riportano allo spessore del termine diaconia le parole d’oro di Giovanni Crisostomo, quando spiegava che al contrario dell’elemosina che scende dal ricco donatore al povero ricettore, la diaconia evidenzia la dignità tanto di chi dona quanto di chi riceve. Colui che riceve è posto nella grandezza di chi siede a tavola, colui che opera è posto nella diaconia di chi serve a tavola. In questo senso la diaconia è il modo di vivere le relazioni nella Chiesa, il modo di essere collegati e inviati agli altri.

La diaconia si dispiega a livello ecclesiale nei ministeri ordinati con un sacramento, nei ministeri istituiti con una parola di benedizione e nel servizio di uomini e donne di buona volontà. Se è indubitabile il servizio reso dalle donne nella storia della Chiesa, lo statuto dei ministeri nei quali si possono istituire anche le donne è ancora in discussione. E tra questi l’istituzione da parte di papa Francesco di un’apposita Commissione pone all’ordine del giorno la questione del diaconato.

Un po’ di storia
La nostra esperienza e memoria storica conosce molteplici istituzioni di vita consacrata femminile impegnate nella diaconia, come ricordato sulla tela di Köder dall’abito della donna che visita l’ammalato. Tra le fonti della Chiesa antica si conserva la memoria di donne diacone. Quando leggiamo nella Didascalia siriaca (inizio III secolo) che tra i loro servizi era inclusa la visita alle donne malate, sbaglieremmo a ricondurle ad una sorta di suore infermiere a domicilio. Il compito di estendere la comunione fino alle membra assenti dal luogo della convocazione era una funzione essenziale dei diaconi. Come l’uomo così la donna diacono cooperava con il vescovo alla vita della comunità, per il servizio delle donne, ed entrava nelle case a nome del vescovo. Il loro numero doveva essere adeguato a soddisfare le esigenze delle sorelle di fede più anziane e di quelle malate. Erano l’anima e i sensi del vescovo per tutte coloro che si trovavano nel bisogno.

Un “noi” in più
Non è in questo modo che, nel sentire comune, riconosciamo il volto del diaconato permanente, che nella sua rinnovata istituzione è figlio del nostro tempo. La crisi che oggi attraversa le forme istituzionali induce a correre ai ripari ricorrendo a figure di supplenza. La tentazione di riversare l’attenzione sulla struttura, la quale offre maggiore sicurezza rispetto alla fragilità dei legami con i fragili, è amplificata dal sentore del pericolo che si metta a nudo anche la propria fragilità. Ma un certo modo di essere Chiesa non serve all’uomo e alla donna di oggi e di domani. Occorre restituire uomini (e Dio voglia anche donne) al diaconato, perché questo ministero ordinato torni ad educare la diaconia della Chiesa come opera di carità esercitata comunitariamente e ordinata al Vangelo.

Il diacono non è un mero esecutore di funzioni ma colui che dà corpo alla diaconia del vescovo nella dinamica comunitaria. La Chiesa antica, per esempio, aveva inventato l’istituzione dell’agape, che era una mensa di amicizia in cui la diaconia era vissuta nel sedersi a tavola con la periferia dell’umanità. Cosa saremo capaci di inventarci in questo tempo?
Ogni battezzato immette nuova diaconia nella Chiesa e nell’umanità. Non è uno di noi in più ma un noi in più: non è un componente che alimenta la struttura, ma un membro protagonista e creativo inventore di diaconia. Ciò accade quando ci si prende cura delle relazioni, modellandole sul Vangelo là dove ci si trova a vivere.

Volti di diacone
La storia ha conservato traccia di questa tradizione viva anche nella forma della diaconia istituzionale nella quale erano ammesse le donne con il loro protagonismo.
Olimpia di Costantinopoli ha aperto le porte di casa ai monaci pellegrini cacciati dal vescovo Teofilo; Palladio riconosce conforme al Vangelo l’opera della diacona Olimpia nei confronti dei monaci che «a vergogna degli uomini una donna virile raccolse, e a condanna dei vescovi un diacono femmina ospitò».

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Last modified on Mercoledì, 03 Ottobre 2018 13:53

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