Martedì, 20 Marzo 2018 08:54

Siria, Afrin e Ghouta allo stremo

A nord la Turchia colpisce i civili, decine di morti. Nel sobborgo di Damasco altre 78 vittime. Nel cantone curdo cliniche al collasso. Nella capitale la Mezzaluna rossa denuncia: i jihadisti bloccano l’evacuazione

Il fuoco turco contro Afrin ha ucciso almeno 21 persone tra giovedì notte e sabato pomeriggio. Tra loro tre bambini di due, sette e otto anni. Nei 56 giorni di offensiva, amaramente ribattezzata «Ramo d’Ulivo», sono morti oltre 260 civili. Chi può scappa attraverso l’unica via di fuga, a sud-est, nella direttrice per Aleppo: già 30mila gli sfollati verso le zone controllate da Damasco, altri 50mila quelli rimasti senza tetto nella comunità, ospiti di amici e parenti o rifugiati in scuole ed edifici pubblici.

I 250mila civili ancora dentro sono ridotti alla fame: il cibo non entra e Ankara, tagliando l’acqua, assumendo il controllo delle risorse idriche e distruggendo i sistemi di pompaggio, commette uno dei crimini di guerra peggiori.

Se ne accorge anche l’Onu, finora silente sul massacro nel cantone curdo-siriano. La portavoce dell’Alto Commissariato per i diritti umani, Ravina Shamdasani, ha denunciato la crisi umanitaria di Afrin, impossibile da tamponare per il collasso del sistema sanitario.

Il principale ospedale straborda di feriti (senza posti letto disponibili, vengono curati per terra) e le cliniche più piccole sono ferme perché prive di medicinali o perché danneggiate dalle bombe. «Le famiglie fanno affidamento su acqua non trattata con il potenziale aumento del rischio di malattie», aggiunge l’Unicef.

Il presidente turco Erdogan resta sordo alle denunce, forte del più generale silenzio. Ieri è tornato a parlare a un congresso locale del suo partito, l’Akp: «A oggi abbiamo assunto il controllo dei tre quarti di Afrin», ha detto stimando in 1.320 kmq il territorio occupato e in 3.530 i «terroristi» neutralizzati (uccisi o fatti prigionieri), ovvero i combattenti delle unità di difesa curde Ypg/Ypj.

Ne ha poi approfittato per attaccare gli Stati uniti, colpevoli – dice – di aver regalato ai curdi 5mila camion e 2mila aerei pieni di armi. Tanto radicata è l’immunità di cui gode da potersi permettere sia di ribadire l’intenzione di marciare su Manbij, a est, sia di aggredire un alleato fedele, Washington, che di fronte all’attacco contro una forza che sostiene (le Ypg) non muove un dito.

Più rumore si registra intorno a Ghouta est, sobborgo damasceno devastati da quattro anni di assedio esterno governativo e interno islamista. Le truppe di Damasco ne hanno ripreso il 70% con una campagna aerea ininterrotta dal 18 febbraio: tre le sacche di territorio rimaste alle opposizioni, non contigue e circondate dai soldati del presidente Assad.

Secondo le opposizioni, sarebbero state uccise altre 78 persone solo nella giornata di venerdì, 1.500 in un mese, di cui buona parte civili. Per il secondo giorno consecutivo è proseguita l’evacuazione di donne, bambini, anziani, ridotti alla fame e alla sete, distrutti psicologicamente e fisicamente da una guerra che si combatte sui loro corpi e ora costretti da quella guerra a lasciare la propria casa, diventata prigione.

La Russia parla di 3.326 civili usciti ieri da Ghouta dopo gli oltre 12mila di giovedì (Damasco dà un bilancio diverso: 40mila sfollati), su un totale di 400mila intrappolati tra bombe governative, missili e colpi di mortaio jihadisti e sotterranei dove nascondersi senza cibo né acqua.

E, aggiunge Mosca, «sono stati eliminati i cecchini che cercavano di far fallire l’evacuazione»: se nei giorni scorsi sono stati denunciati spari sulla folla da parte jihadista, ieri funzionari della Mezzaluna, anonimi, hanno detto alla Cnn di aver visto miliziani bloccare i civili che tentavano di andarsene, impedendo loro di raggiungere i convogli.

Fuori dalla Ghouta orientale ci sono le ambulanze della Mezzaluna rossa e le agenzie Onu che hanno messo in piedi un piano di accoglienza per 50mila persone. L’esodo è iniziato, non si tornerà indietro. Ne sono consapevoli le opposizioni che alla guerra al governo affiancano ora una più intensa faida interna. Non tutti sono propensi alla resa, ma c’è chi ha deciso di negoziare.

[...]

Si è chiusa invece sabato la giornata di dialogo tra Russia, Iran e Turchia ad Astana, in vista della ripresa dei negoziati kazaki a metà maggio. I tre ministri degli Esteri hanno discusso del mantenimento del cessate il fuoco nelle zone di de-escalation, le stesse in cui però si combatte ininterrottamente da settimane.

Last modified on Martedì, 20 Marzo 2018 20:06

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