Il volto segnato da rughe profonde, un fazzoletto in testa e la mano tesa a mendicare. Erano gli anni Ottanta: la donna rom, avvolta in una gabbia di diffidenza e sospetto, stava all’angolo di strada vicino alla stazione. Chi passava spesso stringeva a sé la borsa e passava oltre affrettando il passo. A me piaceva salutarla, e anche lei mi donava un saluto.
Anni Novanta: Annamaria ogni settimana visitava il “ghetto” di roulotte noto come “campo degli zingari”. Incontrare una cultura così “altra” a pochi chilometri da casa nostra era per lei una lezione di vita. Aveva stretto amicizia con tante giovani mamme che vivevano nel campo e che continuavano il lavoro della signora che io incontravo anni prima vicino alla stazione: chiedere l’elemosina.
Il giorno 8 aprile ricorre la giornata internazionale dei Rom, Sinti e Caminanti: i popoli nomadi del continente europeo. Anche loro “evolvono” come ogni altra società umana. C’è chi preferisce rimanere all’aperto nei “campi” e chi sceglie di vivere in appartamento.
Nel 2014 Miriam Anati, responsabile in Italia di Open Society Initiative for Europe, affermava: «il nomadismo è oramai un fenomeno limitato al 3% dei Rom». E noi chiediamo: quali cambiamenti per le donne rom?
Nel 2013, uno studio commissionato dal Consiglio d’Europa sull’accesso delle donne alla giustizia aveva rivelato che le donne rom, sinti e caminanti erano «più esposte alla violenza, alla discriminazione e all’esclusione» perché «vivono in profonda povertà, ricevono una cattiva educazione, non vanno a scuola e si sposano precocemente; in molti casi non hanno un documento di identità, non sanno scrivere una denuncia e non capiscono come accedere a forme di protezione».
Per alleviare il loro svantaggio, in cinque Paesi pilota (Bulgaria, Grecia, Irlanda, Italia e Romania) venne avviato nel 2016 il progetto europeo “Just-rom”, terminato proprio nel marzo 2018.
In attesa dei rapporti sull’esito del progetto, è incoraggiante raccogliere l’esperienza di alcune donne rom e “nomadi”: lo scorso novembre si è svolta la loro sesta Conferenza internazionale. Hanno partecipato donne che hanno avuto accesso all’educazione formale e desiderano contribuire a trasformare la loro cultura e anche la società europea. Hanno addirittura chiesto che nelle elezioni a vari livelli i partiti riservino almeno un seggio a donne rom o di minoranze “nomadi”.
Un buon auspicio nel lento cammino interculturale dell’Europa dei popoli.