Mercoledì, 28 Aprile 2021 17:10

Alberi solidali

Dal Settecento, con il metodo del medico e naturalista svedese Carl Nilsson Linnaeus, la botanica “occidentale” ha classificato scientificamente centinaia di migliaia di piante che i popoli conoscevano già da millenni e che le donne, in particolare, impiegano da secoli per le loro proprietà curative. Negli ultimi decenni, però, la ricerca ha rivelato tratti inediti e sorprendenti del mondo vegetale

Ogni cultura riconosce la “sacralità” di alcune piante. I Kikuyu del Kenya, per esempio, non tagliavano mai il mugumo, loro albero sacro, e la comunità svolgeva tradizionalmente le sue riunioni importanti al riparo della sua ombra benedicente. Wangari Maathai, premio Nobel per la Pace 2007, ha difeso strenuamente le foreste e nei suoi studi accademici ha scoperto che quel maestoso albero onorato dal suo popolo ha una radice a fittone molto profonda con cui richiama le acque del sottosuolo; anche per questo attorno al mugumo la terra è fertile.

Incanto di bambina
L’evidenza scientifica che le piante godono di una percezione sopraffina e comunicano fra loro arriva dalla Columbia Britannica, la provincia canadese dove negli anni Settanta la piccola Suzanne Simard giocava nei boschi mentre il nonno tagliava rispettosamente cedri, pini e abeti. L’infanzia trascorsa a contatto di quelle piante imponenti orienta i suoi studi in scienze forestali.
Il suo spirito di osservazione le rivela che omogenee “foreste industriali”, dove gli alberi sono tutti della stessa specie e, per crescere più in fretta, sono piantati a debita distanza e privati del sottobosco, in realtà si sviluppavano a fatica. Nota addirittura che il 10% delle pianticelle di abete muoiono quando all’intorno viene eliminata la “competizione” di pioppi e betulle. «Forse l’intervento umano interrompe qualche scambio benefico tra piante?», si è chiesta quella bambina diventata donna.

Solidarietà sotterranea
La risposta arriva negli anni Novanta. Per il suo dottorato Suzanne si concentra sulla popolazione di funghi che interagisce con le radici e pervade il suolo: una fitta rete chiamata “micorriza”. Ipotizza che favorisca l’assorbimento di nutrienti. Ciò che prima era stato esaminato in laboratorio lei lo studia direttamente in foresta, concentrandosi sull’interazione fra alberi. I suoi colleghi, in prevalenza maschi, la prendono in giro: che idea da ragazza! Suzanne non desiste; a lei non basta studiare come far crescere e tagliare le piante, vuole scoprire se e come esse comunicano “naturalmente” fra loro. Nel 1997 la rivista scientifica Nature pubblica un suo articolo che fa storia: in analogia con internet, il world wide web, si comincia a parlare di wood wide web fra alberi, una rete di microrganismi essenziale alla fertilità biologica del suolo.
Da allora Suzanne ha continuato a investigare gli ecosistemi forestali, sconfessando convinzioni ataviche: le pian-te non crescono in competizione ma in collaborazione fra loro, con decidue e sempreverdi che si supportano alternativamente lungo lo scorrere delle stagioni. La foresta è molto più di ciò che appare: è un immenso organismo in cui la micorriza che popola il suolo fa circolare nutrienti, acqua e anche ormoni.

Scoperte in divenire
Suzanne Simard, dal 2002 docente di Ecologia forestale presso l’Università della Columbia Britannica, e con centinaia di pubblicazioni all’attivo, ha recentemente scritto Finding the mother tree (Alla scoperta dell’albero-madre). Il libro è frutto di una ricerca condotta dal 2017 su piante secolari che sviluppano un numero enorme di connessioni, anche tra esemplari di specie diverse e a chilometri di distanza. Gli alberi più forti alimentano quelli più giovani o sofferenti, e quando un albero-madre giunge al termine della sua lunga vita, dona la sua “ricchezza” alle pianticelle-figlie.
Da epoche remotissime nel bosco opera una “economia sotterranea” di scambi simbiotici in cui la micorriza collabora con le piante nel veicolare acqua, minerali e altre sostanze chimiche in cambio di zuccheri e carbonio prodotti per fotosintesi dalle foglie. Grazie a questa interazione solidale, il micelio, ovvero l’apparato radicale dei funghi, assorbe nutrienti e le piante possono sostenersi reciprocamente, scambiandosi anche segnali di allarme in caso di “aggressione” da parte di animali, parassiti, fuoco, trombe d’aria e altro. Così affrontano meglio le avversità rispetto a piante isolate o cresciute in vaso.
E quando passeggiamo nel bosco, la professoressa Simard invita a chiederci: «Come “sentiranno” gli alberi la nostra presenza?».

 

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