Lo Sri Lanka è un’isola fertile a sud-est dell’India. Ha prosperato fino alle ripetute invasioni dalla vicina India attorno all’anno 1000. Nel 1500 coesistevano nell’isola tre regni: tamil a nord, cingalese nel sud, e di Kandy al centro. Portoghesi, olandesi e inglesi ne hanno fatto terra di approdo fino al 1815, quando l’isola è divenuta parte dell’Impero britannico ed è stata gestita come un’appendice dell’India fino all’indipendenza nel 1948.
Nel 1956 il cingalese diventa lingua nazionale e relega ai margini gli altri gruppi etnici. La popolazione tamil rivendica la propria indipendenza e le “tigri” del nord iniziano una guerra civile che si protrae dal 1983 al 2009, lasciando un Paese ferito e diviso.
Fino al 2014 migliaia di persone, in prevalenza tamil, continuano a fuggire per sottrarsi a repressione e tortura.
La discriminazione strisciante continua anche tra la gente della provincia di Kandy, dove la popolazione tamil, che lavora nelle grandi piantagioni di tè nel centro del Paese, discende dalle caste inferiori del sistema sociale indiano, qui trapiantate dagli inglesi nella seconda metà dell’Ottocento.
Il Paese conta oltre venti milioni di abitanti, di cui quasi il 9% all’estero, prevalentemente in Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Kuwait e Qatar.
Le tensioni interreligiose sono sporadiche: il 21 aprile 2019 le bombe hanno trasformato la domenica di Pasqua in giorno di lutto, ma in genere la convivenza è pacifica.
La crisi pandemica ha aggravato la situazione economica generando diffuse proteste nelle città, a partire dalla capitale Colombo. Dal marzo scorso le manifestazioni hanno raggiunto anche molti villaggi: la protesta giovanile, iniziata in modo pacifico con settimane di sit-in davanti al palazzo presidenziale, ha unito tutta la popolazione, superando divisioni etniche e religiose.
La guerra è stata risolta, ma l’emarginazione continua.
