Venerdì, 28 Gennaio 2022 21:23

Siamo persone

Persona è una parola che ha una strana genealogia. In latino è la maschera indossata dagli attori. Nel suo transito semantico è divenuta una cosa diversa: racconta l’unicità dell’individuo, immersa nei rapporti sociali, che detiene diritti indisponibili. Capovolgendone le sillabe e cambiando una vocale diventa “sono per”. “Essere persona” e “essere per” è stato il tema dei sei giorni di campo over 35 della famiglia comboniana, tenutosi l’agosto scorso a Noci, in Puglia. L’hanno scandito cinque “essere per”: per Dio, per me, per le persone, per il creato, per il Vangelo. Il tutto, abbracciato da altre due parole: missione e comunità.

Da mille strade
Un campo over 35 non è facile. Ognuno si porta dietro una storia, un’età, una spiritualità, un contesto famigliare o di lavoro, cicatrici, fatiche. Eppure è stato proprio questo l’aspetto più sorprendente. «Persone con vite ed età diverse, provenienti da città diverse, che per un periodo breve di tempo hanno condiviso tutto e le differenze si sono azzerate permettendo di diventare una comunità dove ognuno accoglie l’altro e si prende cura di lui», racconta Carla Sgarella, medica del lavoro, una di quelle persone con le quali è difficile non fermarsi in dialogo senza ricavare qualcosa di prezioso.

Siamo 14: oltre a Carla e me ci sono Vilma, Nicola, Damiano, Caterina, Carlo, Gemma, Tommaso, Alessio, Elisa e Mario, Giulio e don Samuele. «Una famosa canzone di chiesa dice: “Siamo arrivati da mille strade diverse…”. Ecco, la nostra partecipazione al campo comboniano è stata proprio questo: ho visto arrivare persone del nord e del sud Italia, trentenni e sessantenni, uniti dalla voglia di fare un’attività missionaria e di dedicare parte del proprio tempo agli ultimi», ricorda Carlo Cela, babbo di Foggia, impiegato dell’Inps, con alle spalle una vita di impegno nell’ecologia. «È stato bello incontrare tante persone di posti diversi e scoprire di avere un interesse comune, cioè Gesù», ribadisce Caterina d’Onghia, di Noci.

Équipe originale
Decisiva è l’équipe che ci accoglie: padre Ottavio Raimondo è un missionario comboniano senza età, un esploratore di orizzonti mai domo; Melaku Wolde è studente allo scolasticato comboniano che posa sui giorni una riflessività paziente; suor Rocío Aguiñaga è la gioia impressa in un sorriso che illumina, avvolge, coccola, scalda.

«Non sempre perfettamente sintonizzata ma straordinaria nel suo insieme. Un po’ come noi campisti, non sempre si trova ciò che ci si aspetta, ma il bello è accettarne la diversità, ed è proprio nel “diverso” che incontri l’altro! Ho ritrovato un padre affettuoso, gioioso e anche piuttosto folle, padre Ottavio; ho incontrato Melaku, ragazzo pacato sempre pronto ad ascoltarti ma anche ad accompagnarti nei momenti divertenti… E poi ho incontrato lei, suor Rocío, in lei ho trovato una vera sorella», ricorda Elisa Goretti Innocenti, artigiana, apprendista sindacalista, mamma, una voce magica di cantante nella gola e il sogno dell’Africa nel cuore.

E vi è una sorta di membro aggiunto che allarga le prospettive: don Samuele Sportelli, parroco nella diocesi di Fiesole. Sembra raccogliere in sé il respiro aperto ai deboli della Chiesa toscana di Balducci e don Milani, la concretezza dei preti operai, la lezione d’amore di don Tonino Bello che accarezza le fragilità.

Programma a tutto tondo
La mattina si lavora. Il pomodoro domina la scena: si raccolgono, si tagliano per farli essiccare, si fanno le conserve. Nel campo ci si trova accanto ai ragazzi e alle ragazze inseriti nelle cooperative Siloe e Tracce Verdi, l’una creata dalla visione profetica di don Dante Leonardi, l’altra inventata con coraggio da Cecilia Posca: ci sono migranti, detenuti in prova, persone in condizioni di svantaggio. La solidarietà non è facile. Eppure il suo alito di vita è imponente. «La vita ci porta spesso per strade lontane dalla missionarietà: il lavoro a tempo pieno, le faccende domestiche, i figli non ci lasciano molto tempo da dedicare ai poveri e agli ultimi. Specie in questi ultimi due anni di pandemia. Il campo ci ha permesso invece di uscire finalmente da noi stessi per svolgere attività missionaria», ricorda ancora Carlo.

Il pomeriggio è lo spazio della spiritualità, illuminato dalla Parola. La catechesi, il silenzio popolato dal vento, il dialogo, la messa sotto la grande quercia. Si contemplano «il Dio in uscita», come ricorda padre Ottavio, partendo dalla parabola dei vignaioli con un uomo che non è padrone, ma custode dell’essere, come sottolinea don Samuele, citando Heidegger. «Essere custodi non fa venire meno la dignità dell’uomo», ma la esalta.

La sera è lo spazio della convivialità. Sperimentiamo l’accoglienza della diocesi di Noci, impersonata da Paolo e Katia. Ed è momento di apertura alle testimonianze esterne, come quelle di don Dante o di Enzo Limosano, il medico col camper che gira i ghetti della campagna di Foggia per curare i migranti. Talvolta, tuttavia, l’arrivo numeroso di ospiti diventa destabilizzante. E anche questo ci lascia un insegnamento. L’apertura deve essere strabica: un occhio guarda all’esterno, l’altro agli equilibri interni.

Facciamo sintesi
Il campo è un crescendo. La condivisione ci tempera, ci unisce. «Ultimo giorno di lavoro al campo over 35 in Puglia – racconta ancora Carla – e anche primo giorno di vero caldo in questa settimana. Siamo a lavorare in un terreno gestito dalla cooperativa di don Dante. Questa mattina è previsto il taglio dei pomodori con successivo posizionamento sulle reti per farli seccare al sole. La squadra è pronta, ci siamo tutti e tutte per condividere quest’altra, ultima giornata di lavoro. Si comincia! Lavoriamo, chiacchieriamo, ridiamo e naturalmente... fotografiamo. A metà giornata alcuni di noi portano acqua e frutta per alleviarci il caldo. Padre Ottavio guida la squadra di soccorso.

Per un attimo mi estraneo dal tutto e mi sfilano davanti tante più immagini di questa settimana, e capisco che la giornata di oggi è la sintesi di tutto ciò che il campo è stato: intenso, inaspettato, incredibile».

Terminato il campo, riprende per noi il cammino feriale, «ma uniti da un grande affetto reciproco e tutti verso la stessa meta», dice Elisa. Con nel cuore un Dio «infinitamente grande» che ci conosce uno ad uno, ribadisce padre Ottavio, e con «occhi puntati su una luce all’orizzonte, che pian piano si è avvicinata, ma come l’arcobaleno non se ne trova mai l’inizio né la fine».

Per restare «in cammino alla ricerca del misterioso incontro»: così recita la frase scritta da noi l’ultimo giorno di campo.

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Last modified on Venerdì, 28 Gennaio 2022 21:35

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