Vorrei riaprire la riflessione proposta da Carla Mantelli qualche giorno fa su questo blog, partendo da una domanda: cosa è accaduto in questi anni? Cosa hanno fatto le istituzioni scolastiche nel concreto per promuovere il superamento degli stereotipi di genere ed educare le nuove generazioni al rispetto delle differenze?
Era il 2014 quando fu presentato al Senato della Repubblica un decreto di legge sull’educazione di genere nelle attività e nei materiali didattici per le scuole italiane di ogni ordine e grado e per le università (ddl 1680). Si auspicava che le scuole si attivassero mettendo mano alle progettazioni didattiche e ai programmi di studio, come anche ai libri di testo al fine di fornire strumenti «di comprensione e di decostruzione critica dei modelli dominanti alla base delle relazioni tra i sessi [...] per sradicare i pregiudizi, i costumi, le tradizioni e le altre pratiche basate sull’idea dell’inferiorità della donna o su ruoli stereotipati per donne e uomini [...]».
Oggi sembra che le cose non siano così diverse rispetto ad allora: i libri e le progettazioni didattiche si rifanno di tanto in tanto il maquillage ma la sostanza resta la stessa. E sempre più spesso succede che, in contesto di autonomia scolastica, l’educazione di genere nelle scuole venga proposta da singole e singoli “don Chisciotte”, che a volte decidono di fare gruppo e di presentare progetti da inserire nei PTOF (come suggerito dal comma 16 della legge 107 del 13 luglio 2015).
Ci abbiamo provato, ma…
In questi ultimi anni, come docente in una scuola secondaria di secondo grado della provincia di Roma, ho fatto parte di un gruppo di lavoro che ha dato vita a un progetto dal nome “A scuola di genere” con l’obiettivo di permettere ai ragazzi e alle ragazze di dotarsi di conoscenze e competenze per riconoscere situazioni nelle quali operano rapporti di potere improntati al predominio di genere, al fine di potersene difendere efficacemente per affinare la capacità di esprimersi secondo modalità inclusive e anti-sessiste. Abbiamo lavorato affinché gli studenti e le studentesse imparassero a sviluppare una capacità di analisi critica della realtà che ci circonda, uno sguardo più attento e capace di individuare la natura discriminatoria di comportamenti, costumi, usi, pregiudizi e stereotipi. Abbiamo letto testi classici della letteratura e saggi; abbiamo collaborato con specialisti di diverse discipline: giuriste, antropologhe, sociologi e sociolinguiste, scrittrici, filosofe, storiche, politiche; incontrato volontarie di Centri antiviolenza; organizzato un concorso interno e manifestazioni aperte alla cittadinanza.
Mi sono più volte chiesta se tutte quelle ore passate ad ascoltare e a confrontarci abbiano avuto un senso per ciascun ragazzo e ciascuna ragazza, se la nostra porzione di scuola italiana abbia contribuito allo sradicamento dei troppi pregiudizi di genere che ancora modellano le nostre vite. Mi domando oggi, mentre i dirigenti chiedono di proporre progetti per l’anno scolastico appena iniziato, quanto le docenti e i docenti siano consapevoli di questo compito; quanti si stiano impegnando nel redigere le proprie programmazioni in un’ottica di genere.
… è ancora troppo poco
Ancora, e troppo spesso, incontro persone quasi sempre molto preparate nelle proprie discipline, che tuttavia restano persuase che le attività didattiche siano universali e asessuate, continuando a proporre conoscenze androcentriche, escludendo, senza volerlo, i subalterni e le subalterne dai loro programmi scolastici. (Per inciso, i dati del ministero dell’Istruzione relativi all’anno scolastico 2019/20, riportano che l’82,9% dei docenti a tempo indeterminato è di genere femminile).
Quanti e quali riferimenti in ambito letterario, storico, filosofico, scientifico ai saperi di genere? I manuali ne sono pressoché privi e chi insegna non ha tempo, e spesso voglia, per pensare a percorsi alternativi. Sono ancora troppo rare le esperienze didattiche in cui ci si spende per abbattere le barriere dell’isolamento delle donne nella cultura e nel lavoro, ostacolando consapevolmente o meno il sovvertimento di quel circolo vizioso che mantiene vivi i passati secoli di sessismo. Nel frattempo, inizio a scrivere la mia progettazione didattica di filosofia per la terza e inserisco Diotima, Ipazia, Plotina (chi è costei?) mentre mi muove il desiderio di una scuola in cui la campanella suoni veramente per tutti e tutte.