Lunedì, 28 Giugno 2021 20:47

Migrazioni climatiche: esperienze dall’Indonesia

Dei circa 300 milioni di migranti internazionali registrati nel 2019 a livello mondiale, 65 milioni (più della popolazione dell’Italia) si concentrano nella regione Asia-Pacifico.
Da notare che si tratta soltanto di migranti regolarmente registrati in quanto provvisti di documenti legali; coloro che si spostano in modo irregolare sono un numero ben maggiore e sfuggono a ogni valutazione statistica.

Le motivazioni per emigrare sono molteplici e spesso correlate fra loro. Le migrazioni sono sempre avvenute fin dagli albori dell’umanità: intere civiltà sono scaturite da processi migratori indotti anche da cause ambientali ed economiche. La differenza è costituita dall’attuale quadro geopolitico: in tempi recenti i confini che demarcano con precisione gli Stati rendono gli spostamenti molto più complicati che in passato.
Per l’Indonesia è importante individuare le cause dei flussi migratori e gestirli nel rispetto delle persone. Il Paese è costituito da 17.000 isole e ha una lunga storia di migrazioni ambientali, anche irregolari.
A partire dall’esperienza, abbiamo capito l’importanza di un approccio comprensivo, che opera sia nel prevenire le migrazioni che nel migliorarne la gestione quando esse avvengono.

Per limitare i rischi – nel 2020 abbiamo avuto circa 1.300 disastri ambientali e più di 5,1 milioni di sfollati – è anzitutto necessario stabilire gli ambiti di competenza. In linea con le indicazioni del Quadro di Sendai abbiamo istituzioni preposte a prevenire e gestire i disastri a livello nazionale e delle province. Mentre il livello nazionale svolge una funzione di coordinamento e distribuzione delle risorse, quello locale è preposto a rendere tempestivi ed efficaci gli interventi di assistenza, affinché diano risposta ai bisogni reali della popolazione colpita. Da essa dobbiamo partire: in passato, per esempio, Paesi donatori hanno inviato aiuti inutilizzabili per quella particolare popolazione. Uno spreco.

Per esperienza abbiamo anche riscontrato che gli spostamenti di popolazione avvengono soprattutto all’interno di una determinata regione, per questo politiche concordate fra Paesi vicini aiutano meglio a gestirne i flussi, anche quelli irregolari. Il Processo di Bali, per esempio, avviato in Australia nel 2002 per contrastare le migrazioni irregolari, coinvolge 49 membri che sono Paesi di origine, transito e destinazione nella regione Asia-Pacifico, ma include anche altri membri strategici e agenzie dell’Onu. La crisi monsonica del 2015 ha causato ingenti spostamenti via mare di persone senza documenti, ma il Processo ha permesso di realizzare azioni tempestive di soccorso e di “regolarizzare” la migrazione.

La vulnerabilità di chi è costretto a emigrare avvantaggia i trafficanti di persone: per questo il Patto globale risulta importantissimo e ha aiutato l’Indonesia a sviluppare una gestione coordinata delle migrazioni. Il Patto chiede anche di agire sulle cause che costringono la popolazione a emigrare; lasciare la propria terra non dovrebbe mai essere un obbligo ma una scelta, e quando avviene dovrebbe realizzarsi in maniera regolare, ordinata e sicura.

Continua...

Last modified on Mercoledì, 30 Giugno 2021 21:44

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