Mahdia: il racconto delle testimoni Mandala
Sabato, 26 Febbraio 2022 20:37

Mahdia: il racconto delle testimoni

Quando l’insurrezione guidata da Muhammad Ahmad raggiunge il Kordofan, le missioni cattoliche ne diventano un bersaglio importante: il personale, oltre a essere cristiano e di origine europea, contrastava apertamente la schiavitù e dava riparo a chi ne fuggiva.
Per questo è sottoposto a pressioni inaudite affinché aderisca all’islam; per ciascuna delle suore, «essere “donna, bianca, cristiana”, e per di più non sposata, fu la grande sfida».

«L’esperienza che esse furono costrette a vivere durante tutto il periodo della loro prigionia risultò particolarmente difficile, dolorosa e non rare volte drammatica. Anzi, tale da rivelarsi senz’altro profondamente traumatizzante. E questo non soltanto perché erano straniere e cristiane, provenienti quindi da una cultura completamente diversa, ma soprattutto perché erano donne, e donne consacrate», sottolinea suor Maria Vidale dello Studium Madri Nigrizia.

Dalla gioia al pianto
Il 9 aprile 1882, domenica di Pasqua, è giorno di festa a El Obeid: la nubana Fortunata Quascè, ex-schiava educata a Verona presso l’Istituto Mazza, diventa la prima Pia Madre della Nigrizia africana. Pochi mesi dopo, la città sarà distrutta dalle truppe del Mahdi. Teresa Grigolini, incaricata di tutte le suore in Sudan, è preoccupata: dalla missione di Delen non arrivano più notizie e le truppe del Mahdi marciano verso El Obeid.

È urgente partire: «Siamo in un trambusto indicibile – scrive da quella missione –, abbiamo fatti i bauli per il rientro a Khartoum, ma il governo ci nega i soldati per accompagnarci. Senza comunicazione tra paese e paese, è una agonia la contrarietà continua delle notizie». Lei cerca di convincere don Giovanni Losi, superiore ad interim in attesa del successore di Daniele Comboni, a partire comunque, ma lui temporeggia: spera che nel frattempo arrivi il personale di Delen, in realtà già fatto prigioniero, e quando si decide è troppo tardi.

L’assedio e la fame
Nell’agosto 1882 la popolazione di El Obeid è invitata a rifugiarsi nella fortezza: suor Teresa insiste per farlo, ma quando don Losi si decide le abitazioni disponibili sono tutte occupate. Le suore vengono ospitate da una ex-schiava, Marietta Maragase, e il personale maschile da alcuni siriani. L’8 settembre viene sferrato il primo attacco, respinto dalla guarnigione fornita di cannoni e fucili. Se la ritirata fosse stata investita dall’uscita del battaglione egiziano, forse le truppe mahdiste sarebbero state sconfitte; ma ciò non avviene ed El Obeid cade per fame dopo 5 mesi di assedio: «I poveri, che erano moltissimi, furono i primi a morire – ricorda Teresa Grigolini –.

Le contrade erano tutte ingombre di stuoie e di stracci, piccoli morenti di fame, scheletri che stendevano la mano per chiedere la carità e in quella posizione morivano». Intanto si avvicinava la Festa dell’Immacolata e le suore erano pronte a rinnovare i voti, ma don Losi non le autorizza e suggerisce di rinnovare “voti privati” giornalmente od ogni due settimane; e così avviene. Lo scorbuto imperversa e lo stesso Losi ne muore.

Il 16 gennaio il Mahdi chiede la resa della fortezza, ancora piena di munizioni. Il governatore avrebbe preferito farla saltare con la polveriera, ma gli ufficiali si rifiutano di obbedire per preservare le loro famiglie, e il 19 gennaio il Mahdi conquista El Obeid e le sue armi. «Appena entrati dentro come tante belve furiose – ricorda Elisabetta Venturini –, ci hanno preso i ragazzi e le ragazze (africane) che avevamo con noi. Poi sono andati da don Rosignoli e da fratel Locatelli; li hanno minacciati che se non si facevano mussulmani li avrebbero tagliata la testa; subito si sono intimoriti e hanno abiurato senza fare la minima resistenza». Le suore, nonostante schiaffi e percosse, si rifiutano: «Siamo rimaste sole: eravamo Teresa Grigolini, la superiora, Concetta Corsi, Caterina Chincarini, Fortunata Quascè ed Elisabetta Venturini».

Nel campo mahdista
Minacciate e battute, vengono trascinate al cospetto del Mahdi: «Dopo tante lusinghe e promesse – continua Elisabetta –, trovandoci forti come prima, ci ha detto che il Signore per intanto ci perdoni che più tardi vedremo la verità». Le 5 suore sono ricongiunte ai superstiti di Delen: «Trovandoci ancora insieme dopo tante sventure, ci sembrava un sogno. Bisognava vedere in che stato li abbiamo trovati».

«Si rimase così circa un anno – ricorda Teresa –, si passava la vita soffrendo e pregando sempre in grande trepidazione per l’avvenire».
In effetti per mesi si susseguono i tentativi di liberare il personale missionario, ma rimangono infruttuosi. Si spera nell’azione militare affidata al generale Hicks, che però fallisce tragicamente. Viene anche offerto un riscatto, che il Mahdi rifiuta in modo categorico, e allora si prospetta la fuga.

Un siriano, già procuratore della missione e diventato “luogotenente” del Mahdi, fornisce i cammelli e tutto è pronto per il 29 marzo 1884. Alla vigilia accade l’inatteso: «Comparve inaspettatamente il califfo Abdullahi con gran seguito davanti alla nostra abitazione e fece chiamare il padre Bonomi, me e il fratello Giuseppe Regnotto – scrive padre Giuseppe Ohrwalder –. Il sole era appena scomparso quando vedemmo venire circa 30 satrapi a cavallo, dichiarando che avevano ordine di condurre via le suore».

Eroica debolezza
È notte. Portano le suore in una capanna presso il recinto del Mahdi, e il giorno seguente comincia l’interrogatorio che si ripete insistente fino a sera: «“Volete voi farvi musulmane?”. Noi rispondevamo che eravamo cristiane e che cristiane intendevamo morire – ricorda Elisabetta Venturini –. Ci siamo messe giù per riposarci un poco, ma proprio nel profondo della notte arriva il califfo Abdullahi con tre dei suoi; visto che dopo tante domande non potevano ottener niente prendono in disparte suor Fortunata, la legano a un palo e la frustano fino a che non si stancano loro stessi».

Poi infieriscono su Teresa Grigolini, tagliuzzandole le labbra. La fuga tanto attesa si trasforma in una tortura che continua per giorni. «Non potendo ucciderci hanno sfogato la loro rabbia col dividerci», cosa che avviene il 1° aprile 1884, prima della partenza per Rahad: ognuna è consegnata alle donne dei capi che, tra minacce e promesse, insistono nel convertirle «dicendoci fortunate perché il Mahdi e il califfo ci volevano bene e ci avrebbero sposate se ci fossimo fatte musulmane. Figurarsi la nostra felicità!».

Don Luigi Bonomi annota: «Si rinnovarono le solite minacce e intimazioni, e ancor più alle suore: l’esempio del loro eroismo fu per noi stessi oggetto della più alta ammirazione». Il Mahdi aveva infatti dato ordine di convertire tutto il personale della missione all’islam, ma di non ucciderlo.

Sfinite e fuori dai sensi
Da El Obeid a Rahad le suore camminarono per quasi 60 chilometri senza scarpe, senza cibo e sotto un sole cocente. Una sera, Concetta, destinata all’harem del califfo Abdullahi, viene aggredita da due uomini che cercano di stuprarla. Le sue grida attirano l’attenzione e i due fuggono, ma lei è allo stremo e chiede udienza dal Mahdi. È il 12 aprile 1884; per essere ammessa alla sua presenza deve però pronunciare la formula di adesione all’islam.

La notizia si diffonde subito: una suora ha ceduto. Teresa Grigolini ne capisce la causa e decide di raggiungere la consorella: «Io fui la seconda portata davanti al Mahdi, e là incontrai suor Concetta». Anche Elisabetta, dopo giorni di minacce, parte per Rahad al seguito del califfo Ali Dinar: per piegarla, durante il viaggio la battono ripetutamente sotto i piedi e la trascinano con una corda al collo; lei non cede, allora la legano a un albero e la picchiano per ore fino a quando la credono morta. A quel punto il Mahdi esige che sia portata nella sua casa, dove si trovano già quattro suore. Giunge infine anche Maria Caprini, reduce della missione di Delen; per le percosse rischia di perdere un occhio.

«Dopo 40 giorni dalla nostra divisione siamo di nuovo tutte unite, ma che riunione dolorosa e terribile: in casa del Mahdi! Presso la gente sembra che ci fossimo fatte tutte mussulmane, ma non è vero», precisa Elisabetta Venturini nelle sue memorie, mentre per la stampa europea sono diventati già tutti musulmani, eccetto due preti e tre suore.

Matrimoni da fare
Il Mahdi annuncia alle sei suore che in quanto musulmane devono sposarsi. Teresa riesce a farlo sapere a padre Bonomi, ancora in prigione, e a fine giugno le raggiunge Rudolf Slatin, ex-ufficiale del governo e amico della missione. Con lui ci sono altri “convertiti all’islam”: Isidoro Locatelli e alcuni greci guidati da Dimitri Cocorempas. Nell’attesa della liberazione, per evitare che le suore siano date in moglie a musulmani, Slatin ha convinto quegli uomini a contrarre con loro matrimoni apparenti, che vengono contratti ufficialmente quella stessa notte davanti a un referente musulmano. Teresa Grigolini è a casa di Cocorempas; Concetta Corsi, di Isidoro Locatelli; Caterina Chincherini, di Trampa; Fortunata Quascé è da un certo Andrea. Maria Caprini ed Elisabetta Venturini sono risparmiate perché ancora troppo debilitate dalle torture.

Nell’agosto del 1884 da Rahad inizia la marcia del Mahdi su Khartoum, ma un suo califfo, con padre Bonomi e Ohrwalder al suo seguito, è inviato a El Obeid per governare il Kordofan. Così le sei suore rimangono con i “finti mariti” e dopo 5 mesi di cammino raggiungono l’accampamento delle truppe mahdiste a Omdurman. Un quartiere è riservato ai “rinnegati”, ovvero a coloro che dopo la cattura si sono convertiti “forzatamente” all’islam: vivono sotto sorveglianza e devono provvedere al proprio sostentamento.

La netta separazione tra donne e uomini, tipica di quella cultura, facilita la convivenza delle quattro suore con i loro “mariti”, che da mattina a sera lavoravano al mercato: «Vendevano qualche po’ di tela di cotone, certe giubbe che cucivamo noi stando a casa e certe altre cose. A mezzogiorno preparavamo il pranzo per tutti e lo mandavamo nella capanna di Fortunata e là mangiavano da soli e noi mangiavamo da sole secondo l’usanza del Paese», si legge nelle memorie di Teresa Grigolini.

In attesa di liberazione
Monsignor Sogaro, successore di Daniele Comboni, cerca in ogni modo di organizzare la fuga di missionari e missionarie. Un arabo raggiunge Omdurman e recapita un messaggio a Teresa Grigolini, ma viene arrestato come spia degli inglesi: Khartoum è sotto assedio e cade il 25 gennaio 1885. Il messo viene liberato, il 3 febbraio riesce a prendere i messaggi di Teresa Grigolini e raggiunge a Dongola Licurgo Santoni, funzionario delle Poste egiziane in contatto con monsignor Sogaro.

Teresa chiede che tutti e tutte possano fuggire insieme da Omdurman, e precisa che in Kordofan c’è padre Bonomi, padre Ohrwalder, Rosignoli e Regnotto: «Qui a Omdurman si trova Isidoro Locatelli, Domenico Polinari con 6 suore: Concetta Corsi, Caterina Chincarini, Marietta Caprini, Elisabetta Venturini, Fortunata Quascè e Teresa Grigolini, tutte in buona salute. Noi suore per evitare dei pericoli orrendi siamo divise in tre case sotto la protezione di tre Greci che ci fanno la carità di tenerci nascoste dividendo con noi lo scarso pane».

La lettera filtra alla stampa e genera grande impressione. Sogaro replica: «Passare come mogli di alcuni greci era un’industriosa astuzia; il loro contegno fu superiore ad ogni lode».

Finalmente in fuga
Il primo a fuggire è Bonomi: il 25 giugno 1885 da El Obeid; seguono il 7 ottobre Maria Caprini e Fortunata Quascè da Omdurman. Dovevano partire tutte, ma il messo arriva con 16 cammelli quando Concetta, violentata da Locatelli, è gravida e Teresa sceglie di rimanere con lei e con Caterina, che per questioni di salute non poteva sopportare giorni e giorni a dorso di cammello; Elisabetta, ospitata a casa di Cocorempas e minacciata dal califfo di essere data in moglie, proprio in quei mesi aveva provato a scappare da sola.

Nel 1886 Ohrwalder arriva a Omdurman, e sposa con rito cristiano Concetta e Isidoro, che fuggirà all’inizio del 1887 lasciandola con il figlio piccolo. Gli altri “falsi mariti” faticano a continuare la farsa e chiedono soldi per mantenere le suore e non far loro violenza.

E lei rimane sola…
Dalla fine del 1888, in Sudan imperversa la carestia, e anche nel quartiere dei “rinnegati” sopravvivere diventa difficile. Disperata, Teresa nel 1889 chiede aiuto ai suoi fratelli; la missiva li raggiunge in agosto e suscita indignazione verso l’Istituto, che ha abbandonato le missionarie, e aumenta le incomprensioni tra questo e chi attende aiuto. Per dissipare il sospetto di “finto matrimonio” con Cocorempas, la stessa Teresa è costretta a sposarsi nell’agosto del 1890. Il 3 ottobre 1891 Concetta muore di tifo.

Il 29 novembre, però, per Elisabetta, Caterina e Ohrwalder arriva finalmente la liberazione. La sera prima di montare sui cammelli, lui va a salutare Teresa; la raggiunge con il pretesto di prendere da lei una medicina. In presenza di Cocorempas, Ohrwalder non può parlare, ma Teresa capisce tutto e si stringono la mano.

La fuga è estenuante, al punto che una suora, sfinita, cade dal cammello. Il 21 dicembre arrivano finalmente al Cairo. Per l’occasione Sogaro scrive al dicastero vaticano: «La già superiora Teresa Grigolini fu sposata a certo greco Dimitri Cocorempas. Vi sono però delle ragioni assai gravi per non dover condannare la sua condotta; vittima tanto più degna di compassione, in quanto fu sempre di specchiata innocenza ed esemplarità».

Il costo del martirio
Chi rimane in cattività patisce più repressione in conseguenza della fuga altrui, ma soffre anche chi rientra in comunità dopo anni di inimmaginabili sofferenze. Maria Caprini e Fortunata Quascè rimangono a lungo emarginate; Caterina Chincarini ed Elisabetta Venturini sono considerate apostate, e a Ohrwalder chiedono addirittura la professione di fede per reintegrarlo come prete.

La situazione più dolorosa, però, la vive Teresa Grigolini Cocorempas. La missione tenta più volte di organizzare anche la sua fuga, ma essendo spesso in stato interessante non può fuggire. Per lei la liberazione arriva il 3 settembre 1898, dopo la vittoria di Kitchener: «Per un anno intero piansi la mia caduta, ma più ancora il giorno della liberazione. Tutti, diceva tra me, hanno trovato la loro liberazione. Le suore al lor convento, e tutti gli altri in seno alle lor famiglie e ai loro Paesi; io sola non ho potuto trovare né il mio convento né la mia famiglia, e fino alla morte sarebbe durata la mia schiavitù», scrive nelle sue Memorie.

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Last modified on Sabato, 26 Febbraio 2022 20:53

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