Ero una ragazza abbastanza sbarazzina ma timida, con una certa allergia per preti e suore, che a Napoli sono chiamate “cape ’e pezze”, ovvero “teste di stoffa”. A metà anno scolastico, la mia mamma dovette spostarmi dalla scuola delle suore a quella pubblica perché né io né loro ci sopportavamo.
CIRCOSTANZA FORTUITA
A 14 anni un’amica mi invita a partecipare con lei a un incontro per giovani. Ero molto riluttante, ma mi convince: sarebbe stata una bella passeggiata. Vado. Il tema dell’incontro verte sulla scelta vocazionale, argomento molto lontano dai miei interessi.
Proiettano delle diapositive sulla situazione dell’Africa, in particolare di bambini e bambine: rimango fortemente toccata dalla povertà ma anche dalla serenità della gente. In quel momento mi balena un sogno: andare anch’io laggiù a dare una mano. Ma come e con chi andare? Cosa fare? Queste domande ricorrono, ma quel sogno sembra proprio irrealizzabile.
TANTI CONTRASTI
Un giorno mi rivolgo al parroco per avere informazioni sull’Africa e lui mi segnala le suore del catechismo. Non le conosco, ma suor Clementina Martini e suor Clemenza Barri, due persone semplici e discrete, sono piene di entusiasmo. Ascoltandole, avverto rifiorire il mio sogno: «È proprio quello che cerco!».
Mi portano qualche libro e mi invitano a passare da casa loro nella clinica “Villa dei Gerani”. Frequentandole, rimango colpita dalla loro dedizione ai malati, dalla serenità del loro essere e dalla passione per la missione (anche se nessuna delle due era mai uscita dall’Italia): il sogno diventa possibile.
Terminata la scuola, insegno per un anno alle elementari presentando a bimbi e bimbe anche la situazione di coetanei meno fortunati di loro. Gli anni passano e arriva il momento di decidere. Ne parlo in famiglia, e scoppia una tempesta: tutti contro. Attendo la maggiore età (allora 21 anni) per poter lasciare casa. È doloroso, soprattutto per mia madre. In quel periodo tanto difficile, suor Afra Manzana, allora superiora della comunità a “Villa dei Gerani”, mi dona consigli e gesti preziosi di attenzione. La ricordo con affetto e riconoscenza per il suo materno aiuto.
QUALE MISSIONE?
Arrivo da Napoli a Verona, felice di essere lì per poi raggiungere l’Africa, ma non mancano i momenti difficili, per la mentalità rigida del convento e per le notizie dalla famiglia. A quel tempo non si leggeva la vita di Comboni, ma sapevo quali difficoltà avesse affrontato e questo mi incoraggiava.
Anche in noviziato suor Luisa Favero, apparentemente burbera, comprende la mia situazione e mi aiuta. La prima esperienza missionaria è in Eritrea, ad Asmara. Arrivo il sabato e il lunedì sono già in classe: 1ª elementare della scuola italiana, con 40 alunni. Insegno in italiano, ma solo 4 sono italiani. Che sgomento! Comunque mi resta anche il tempo per visitare i villaggi e stare con la gente.
All’Università di Asmara avevano bisogno di docenti di Economia, così lascio gli studi umanistici per prepararmi in quell’ambito. Nel frattempo continuo a insegnare nei corsi preuniversitari e posso intrattenere lunghe conversazioni con gli studenti eritrei. L’esperienza è dura, ma fruttuosa.
LA GIOIA DI CONDIVIDERE L’AMORE DI DIO
Dopo la laurea all’Università di Bari, vengo assegnata all’Uganda e successivamente alla Repubblica democratica del Congo, sempre per l’insegnamento e l’accompagnamento di giovani senza però trascurare di farmi prossima alle persone bisognose.
In tante situazioni ho potuto trasfondere la mia umanità, la mia gioia di stare con la gente e l’amore di Dio per ogni persona. Con la loro testimonianza, suor Elena Binetti e suor Domenica dal Borgo hanno dato un impulso bello alla mia vita consacrata, e ancora oggi sono felice di essere missionaria comboniana a Bari, nelle carceri e nel centro richiedenti asilo, dove molti fratelli e sorelle di altri continenti, dopo infinite peripezie, sono in attesa di un verdetto sul loro futuro.