Oltre le cronache Shamsia Hassani
Martedì, 26 Ottobre 2021 13:14

Oltre le cronache

Sono poche le testate internazionali e nazionali che seguono regolarmente l’evolversi della tragedia afghana, e ancor meno dedicano attenzione alle donne, a quelle che avevano osato manifestare per i propri diritti. Sono però molteplici le forme di solidarietà con loro, costrette a tacere e a scomparire nel burqa

Il 13 agosto, mentre i talebani entrano in Kabul, la regista Sahraa Karimi posta un video e lancia un appello.
Dopo pochi giorni la città cambia volto: donne in strada non se ne vedono più, tanto meno con abiti colorati; ogni cartello che ne mostra il volto viene strappato od offuscato. Già nell’aprile 2021 alcune organizzazioni femminili erano consapevoli che per loro gli Accordi di Doha fra Usa e talebani sarebbero stati nefasti, eppure il 2 settembre decine di attiviste, di impiegate governative e studentesse universitarie sfidano i divieti e scendono in strada a Herat per invocare il rispetto dei loro diritti, e dei diritti acquisiti in vent’anni da tutta la popolazione afghana, donne e uomini. Sono subito aggredite e disperse, come quelle scese in piazza a Kabul e in altre città del Paese.

Dalle strade al web e oltre
Le donne afghane che hanno assaporato la bellezza di poter studiare ed essere riconosciute in molteplici ambiti lavorativi continuano a resistere e chiedono di non essere dimenticate. Con il ritorno dei talebani devono stare a casa a fare figli; il “Giardino delle donne”, che a Kabul offriva corsi di informatica e di inglese e le preparava all’esame per la patente di guida, non esiste più. Già a fine agosto le giornaliste sono licenziate e, poco dopo, oltre 220 donne-giudice vengono minacciate di morte: la Bbc ne intervista alcune in località segrete, perché i talebani hanno fatto uscire dal carcere centinaia di uomini che esse avevano condannato per stupro, violenze, torture e omicidi.
Le donne non possono più manifestare per strada, ma il 13 settembre invadono i social media con la  campagna #DoNotTouchMyClothes (Non toccare i miei vestiti).

Scelte difficili
Barbara Schiavulli è una delle poche giornaliste italiane che non cessano di raccontare: dal momento dell’esplosione della crisi afghana raccoglie voci da Kabul o da altre località e le amplifica puntualmente su Radio Bullets, da lei cofondata e diretta. Non raggiunge il pubblico vasto di certi notiziari televisivi o dei canali social più frequentati, però mantiene accesi i riflettori su quello spicchio di mondo risucchiato dall’integralismo. Racconta anzitutto la vita di chi la guerra la subisce, come Mahbouba Seraj: fuggita ai tempi dell’invasione russa, decide di tornare quando vede che i talebani lapidano le donne. Raggiunge l’Afghanistan nel 2003 e si impegna a promuovere la loro salute e i loro diritti; con un programma radiofonico diffonde consapevolezza anche nelle aree più remote del Paese, dove il patriarcato impera, e a Kabul apre un centro antiviolenza: adesso, a 73 anni, ha deciso di restare perché non chiuda.

In Afghanistan le donne non hanno mai avuto vita facile, ancor meno nelle zone rurali, ma dal 2001 i loro diritti sono stati riconosciuti dalla legge: tre milioni e mezzo di ragazze sono tornate a scuola e tante donne hanno potuto esprimere i loro talenti in politica, nello sport, nell’arte, nella pubblica amministrazione, nella magistratura, nel giornalismo... Il 26 settembre da Radio Bullets Mahbouba Seraj lancia un grido: «Mi sento sola, ma non mollo!».
Salgai Baron, appena ventenne, è prima classificata nell’esame che maschi e femmine devono superare per accedere all’università. Si sarebbe già iscritta a Medicina e le tasse le avrebbe pagate lo Stato, ma dal 15 agosto aspetta che le università riaprano e per lei, donna, non riapriranno più. Unica speranza è una borsa di studio internazionale: «Cerco di imparare l’inglese; coltivo ancora il sogno di andare all’estero».
La scelta di Seraj e quella di Salgai, nella loro differenza di età e prospettive, sono entrambe molto difficili.

Solidarietà creativa
Al di là dei reportage, non sono mancate iniziative per dare volto e voce alle donne afghane ridotte al silenzio dal ritorno dei talebani. A quelle che sono riuscite a fuggire non sono mancati i riconoscimenti: il 4 settembre la Mostra del Cinema di Venezia consegna la Coppa Codacons a Sahraa Karimi, testimone della «forza delle donne in un momento così buio», e il Women in Cinema Award conferisce un premio speciale alla regista Shahrbanoo Sadat e all’attivista Zahra Ahmadi.
Molte altre però sono intrappolate in Afghanistan, nelle loro case o in qualche nascondiglio. Per loro, il 19 settembre 2021 le donne di Palermo hanno organizzato una veglia di preghiera, e il 25 la campagna “Alzati per e con le donne afghane”, promossa a livello mondiale da One Billion Rising, ha riempito strade e piazze di tanti Paesi.

Continua...

Last modified on Martedì, 26 Ottobre 2021 13:31

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