Lunedì, 04 Febbraio 2019 20:13

Il coraggio del dialogo

Ho conosciuto Maria Vingiani nel 1985 al Passo della Mendola, a una sessione di formazione ecumenica del Segretariato attività ecumeniche (Sae) cui ero giunta su invito di amici veneziani. Tanto mi colpirono la passione e la competenza dell’intervento di apertura, che chiesi a chi mi era vicino chi fosse quella donna, di statura minuta ma così coinvolgente. Fu per me l’inizio di un cammino, che continua anche oggi. Chi, in questi anni, è andato a trovare Maria Vingiani, ormai anziana, sa che nella sua vita vi sono stati incontri molto speciali, che ne hanno determinato le scelte e l’impegno per il dialogo ecumenico ed ebraico-cristiano. Due volti sono in primo piano nei suoi ricordi: Giuseppe Roncalli, patriarca di Venezia, e lo storico francese Jules Isaac.
Nel tratteggiare la vita di Maria Vingiani, lascerò spesso la parola a lei citando brani della sua memoria storica.

Nascita di una vocazione ecumenica: il periodo veneziano
Per capire la “sete di dialogo e unità” che ha cambiato la vita di Maria e l’ecumenismo italiano, bisogna rifarsi a Venezia, sua città di adozione, quando era poco più che adolescente: «Mi imbattei nella pluralità delle Chiese cristiane in Venezia: greca ortodossa, valdese, metodista, luterana, anglicana; tutte assai minoritarie ma attive entro il breve perimetro del centro storico». Maria conosceva le altre Chiese solo per un matrimonio interconfessionale in famiglia, ma determinante fu la scoperta di una “contraddizione”: la pluralità era letta in negativo e il clima era di inimicizia. «Dov’era la coerenza evangelica? Dove la verità, dove l’errore? Poteva nascerne un disorientamento o una contestazione ma ne venne, grazie a Dio, una vocazione».

La divisione tra cattolici e protestanti fu oggetto della sua tesi di laurea, discussa all’Università di Padova nel 1947. Un lavoro non facile all’epoca, per il quale consultò testi preclusi alla lettura dei laici, se non su autorizzazione. Ella però si rese anche conto che per capire davvero non era sufficiente studiare: il protestantesimo era sì storia, ma anche esperienza viva di fede e di Chiesa, da incontrare.
Contemporaneamente Maria si impegnava in politica divenendo assessora alle Belle Arti, in una Venezia del dopoguerra sempre più cosmopolita. L’ecumenismo di Maria avrà sempre un’attenzione culturale per «l’incontro tra gli uomini, il rinnovamento delle mentalità, il superamento dei condizionamenti ideologici e l’esigenza (anche al proprio interno) di ricerca di autenticità e democrazia». L’impegno per l’ecumenismo troverà appoggio e forza nell’incontro con l’allora patriarca Roncalli, il futuro papa Giovanni XXIII.

Da Venezia a Roma: gli anni del Concilio
Nella decisione di Giovanni XXIII di avviare il Concilio Maria Vingiani vide il realizzarsi dei sogni coltivati nelle relazioni ecumeniche iniziate a Venezia; per questo lascerà la città lagunare e si trasferirà a Roma, lasciando anche la carriera politica. «La mia scelta era ormai definitivamente per la cura di una formazione “a monte”, quella “al dialogo” per una democrazia più diretta e completa, orientata non a favorire competizione e contrapposizione, ma concordia e cooperazione delle diversità, all’unico fine del bene comune, civile e religioso della collettività italiana. Nasce così su questa impostazione, all’inizio del 1963, il piccolo gruppo di avvio del Sae nazionale». Il lavoro di tessitura di relazioni e incontri sarà un apporto prezioso per i lavori conciliari, come testimonia anche l’altro incontro fondamentale.

Jules Isaac e Nostra Aetate
Jules Isaac e Maria Vingiani si sono conosciuti a Venezia il 16 settembre 1957: lo storico francese ebreo, la cui famiglia era stata deportata ad Auschwitz nel 1943, era a Venezia per motivi culturali. Là incontrò Maria, giovane assessora alle Belle Arti. Le donò il suo libro Gesù e Israele e la mise al corrente dei suoi studi sull’antisemitismo e della missione che si era dato: far conoscere Gesù agli ebrei e Israele ai cristiani. Lei gli parlò dei suoi impegni culturali e religiosi, e del patriarca di Venezia, Angelo Giuseppe Roncalli. «Mi era ormai chiaro – scriverà – che l’unica vera grave lacerazione era alle origini del cristianesimo e che, per superare le successive divisioni tra i cristiani, bisognava ripartire insieme dalla riscoperta della comune radice biblica e dalla valorizzazione dell’ebraismo». C’è in questa intuizione una delle grandi novità del Sae, la cui esperienza si muove «a partire dal dialogo ebraico-cristiano».

Continua...

Last modified on Lunedì, 04 Febbraio 2019 20:41

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