Tre donne, invece, si uniscono e girano l’Italia accompagnate dal movimento Europe for Peace. Sono le attiviste Kateryna Lanko, ucraina, Darya Berg, russa, e Olga Karach, bielorussa. Loro mostrano un altro volto del conflitto e invocano la pace, non solo a parole ma con la vita, rischiandola per proporre un’alternativa al massacro e al dolore immenso di chi perde tutto e non può neppure rifiutarsi di uccidere.
La sera del 24 febbraio, queste tre donne parlano a Verona, nella Chiesa di San Nicolò stracolma di persone che per più di un’ora ascoltano commosse, applaudono e rispondono con passione alla loro passione.
Come le donne che 2000 anni fa’ trovarono vuota la tomba dove avevano deposto il corpo martoriato di Gesù, anche Kateryna, Darya e Olga hanno visto qualcosa di stravolgente, che ha cambiato la loro esistenza e impedisce alla morte di dominare lo scenario. Raccontano le loro storie; dolore, forza, solidarietà e una grande passione per la pace si mescolano a un desiderio che travolge le loro scelte. Promuovono l’obiezione di coscienza nei rispettivi Paesi e difendono coloro che, rifiutando di arruolarsi, sono in prigione. Si danno la mano: per loro non c’è invasore e invaso, vincitrice o vinta. Sono diventate amiche e chiedono di sottrarre a questa guerra l’arma più potente: i soldati, reclutati ovunque in massa. In Bielorussia anche tra i bambini! Chiedono corridoi umanitari e asilo politico per gli obiettori di coscienza e i disertori. Loro stesse rischiano la vita perché ne favoriscono la fuga. Su Olga pende addirittura la pena di morte.
Il filosofo tedesco Jürgen Habermas il 15 febbraio ha rilasciato un’intervista al Süddeutsche Zeitung: la necessità è chiarire se l’obiettivo dell’escalation militare sia che l’Ucraina vinca la guerra o che non la perda. La differenza sembra sottile, forse impercettibile, ma è sostanziale: la guerra si protrae e anche la potenza delle armi inviate all’Ucraina aumenta. La sua “vittoria” non può che implicare una perdita colossale di vite umane. L’Ucraina, per Habermas, non può “perdere la guerra”: il suo è un monito a non perdere di vista la misura della distruzione e il numero delle vittime. Non è una questione ideologica: si tratta di una responsabilità a cui né le parti direttamente coinvolte né chi le sostiene possono sottrarsi.
Al momento, però, le guerre sono molte. Tante nazioni in Africa continuano a reclutare bambini per mandarli a morire e a uccidere. Come conciliare il diritto internazionale con questa realtà? Perché si fa così fatica a chiedere corridoi umanitari per i ragazzi congolesi e sudanesi, e per le donne reclutate in Eritrea? Non hanno forse anche loro il diritto all’obiezione di coscienza? I diritti umani sono universali, non solo per chi ha un certo colore della pelle o vive a certe latitudini
È ora di fermarci ad ascoltare le voci di donne come Olga, Kateryna e Darya, donne che vogliono vivere e desiderano la vita per le loro famiglie e le loro nazioni. Di donne come loro è piena anche l’Africa!
Gettiamo la maschera del perbenismo civilizzato e lasciamoci travolgere dalla passione per la vita, una passione che contagerà il mondo.
Allora il giorno di Pasqua, davanti al sepolcro vuoto, ci saremo anche noi con gli occhi pieni di luce.