Mercoledì, 12 Dicembre 2018 11:29

Il caso Orbán: verso politiche europee comuni?

Lo scorso 12 settembre è stata una giornata importante per la storia europea. Il Parlamento di Strasburgo ha saputo dimostrare che i valori fondativi dell’Ue sono inderogabili: contro Viktor Orbán e le sue politiche si è levato un voto trasversale, che ha visto unirsi più dei due terzi dei deputati – dai progressisti alla sinistra, dai moderati fino al Partito popolare europeo, quello al quale è iscritto lo stesso primo ministro ungherese. Quale insegnamento emerge da quella giornata?

Sanzioni all’Ungheria
Per l’iter del documento sanzionatorio all’interno del Parlamento europeo – dalla sua stesura fino alla votazione finale – le istituzioni europee hanno dato prova di funzionare: per garantire i valori di democrazia e libertà. Questo non è un dato di poco conto, se pensiamo a tutte le volte che l’Unione Europea non ha dimostrato coesione – come per le questioni legate alla migrazione, che ancora oggi paralizzano i lavori legislativi.
Sulla “questione Orbán”, invece, il Parlamento ha dato attenzione ai valori e ai principi democratici che fondano l’Europa stessa, prendendo coscienza del fatto che, nel caso specifico dell’Ungheria, da anni il premier Orbán attua azioni politiche che mettono a serio repentaglio il funzionamento del sistema costituzionale e giudiziario del suo Paese, perché violano i diritti dei cittadini, della stampa, della magistratura, delle università, dei sindacati e dei richiedenti asilo.

I punti nodali
La relazione presentata dall’eurodeputata Judith Sargentini ha illustrato in maniera dettagliata e approfondita la situazione ungherese, dove il governo nel corso del tempo ha di fatto progressivamente limitato la libertà di espressione dei media e della stampa, ridotto il potere dei giudici e della Corte Costituzionale, impedito manifestazioni e scioperi, violato i diritti umani, osteggiato il lavoro delle ong e delle associazioni umanitarie, limitato il lavoro delle università.
Azioni di questo tipo sono veri e propri attacchi allo Stato di diritto, sui quali non si può soprassedere: in gioco non c’è solo la tenuta della democrazia in Ungheria quanto, più in generale, il rispetto dei valori su cui si fonda l’Unione Europea. Legittimare l’operato di Orbán avrebbe messo in pericolo l’architrave della coesione europea.

I passi
Era necessario agire con gli strumenti della democrazia europea, e, con più di due terzi di voti favorevoli, l’aula di Strasburgo ha votato l’attivazione dell’articolo 7 del Trattato dell’Ue. Ora il caso ungherese sarà esaminato dal Consiglio Europeo, che sarà chiamato ad esprimersi per voce dei primi ministri degli Stati membri.
Spero che Giuseppe Conte, a nome dell’Italia, voti per l’applicazione delle sanzioni contro l’Ungheria. Più che di speranza, direi che si tratta di un obbligo morale, perché è proprio l’Ungheria – e in generale tutto il gruppo di Visegrad (Polonia, Repubblica Ceca, Ungheria, Slovacchia) – a lavorare per la disgregazione europea sulla questione della migrazione che, se realizzata, penalizzerebbe fortemente il nostro Paese.

Uno stallo penoso
Se i numerosi vertici europei sul tema della migrazione si sono finora conclusi con un nulla di fatto, è sostanzialmente responsabilità di Orbán e dei Paesi a lui alleati, oltre che per la manifesta incapacità politica e diplomatica del premier Giuseppe Conte: nessuno dei Paesi di Visegrad ha intenzione di negoziare per una soluzione condivisa del fenomeno migratorio, anzi, è additabile a Orbán e ai suoi soci la diffusione di pulsioni xenofobe in netto contrasto con i valori europei della solidarietà e dell’accoglienza.

Continua...

Last modified on Mercoledì, 12 Dicembre 2018 11:40

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