Cop27, la partita del clima si gioca sul “Loss & Damage” Gehad Hamdy/dpa da La Svolta
Martedì, 15 Novembre 2022 21:52

Cop27, la partita del clima si gioca sul “Loss & Damage”

A pochi giorni dalla chiusura, la domanda rimane: quando e come si realizzeranno politiche di adattamento e risarcimento per i Paesi più colpiti dalla crisi climatica?

Mancano pochi giorni alla fine della Cop27 in Egitto e l’intesa appare lontana. È ormai chiaro che questa Conferenza - al netto di riuscire a mantenere gli impegni presi a Glasgow, dai finanziamenti sino alla riduzione del metano, dalla protezione delle foreste alle azioni per evitare di sforare i famosi +1,5 gradi - si gioca sulla questione della finanza climatica.

Il punto è: con che strumento e in che tempi si potranno sostenere politiche di adattamento, ma anche per riparazioni, risarcimento e sviluppo, destinate ai paesi più colpiti dalla crisi climatica?

La questione Pakistan ha aperto gli occhi a tutti: se un paese dopo alluvioni devastanti conta 33 milioni di sfollati e oltre 30 miliardi di danni, come può risollevarsi senza garanzie di aiuto? E come possono le nazioni che emettono poco ma che subiscono la crisi climatica rafforzata dalle emissioni dei più ricchi, affrontare contemporaneamente l’emergenza clima e dover saldare i debiti accumulati?

Su questo si gioca larga parte del summit, ormai iper divisivo: da una parte i Paesi più poveri, guidati dalla coraggiosa premier Mia Mottley delle Barbados, ma anche da Pakistan e stati africani che sono stufi di aspettare risposte; dall’altra le super potenze economiche e i principali inquinatori che prendono tempo, rimandando un ipotetico strumento finanziario per il ”Loss & Damage”, le ormai note perdite e danni dei paesi più vulnerabili, al 2024.

In mezzo, in un momento estremamente delicato di crisi climatica, energetica ed economica, ci sono le relazioni decisive: su tutte quella tra Usa e Cina, che prima alla Cop27 e poi al G20 con la stretta di mano fra il presidente Usa Joe Biden e quello cinese Xi Jinping hanno lasciato intravedere tiepide speranze di un dialogo costruttivo anche sulla questione surriscaldamento.

E poi ci sono tante nazioni più “piccole” - dalla Nuova Zelanda al Belgio sino all’Austria o alla Danimarca - che si sono sbilanciate dedicando nuovi fondi a sostegno dei paesi più colpiti, ma che non sembrano trovare lo stesso sostegno (e le grandi cifre necessarie, dato che ci vorrebbero diversi trilioni) da Stati Uniti, Cina, Messico, Russia, Giappone o altri chiamati a impegnarsi sul “Loss & Damage”.

I protagonisti del G7, come ha ribadito Joe Biden di recente, puntano a promuovere il Global Shield, un accordo promosso dalla Germania che si basa di fatto su un sistema assicurativo per i danni. Si tratta di uno scudo globale contro i rischi climatici che promette un supporto finanziario per aiutare i paesi colpiti da disastri in modo più rapido, ma allo stesso tempo non definisce esattamente quali (ad esempio l’innalzamento del livello del mare è contemplabile?) e secondo i paesi meno abbienti e più colpiti dalla crisi non può sostituire l’idea di uno strumento capace di erogare senza l’idea “assicurativa”, ma con fondi per risarcire e ricostruire, per adattare e proteggersi.

Il tutto, magari - chiedono oggi molti attivisti del clima - cancellando i debiti del passato, dato che buona parte dei popoli del sud e della fascia tropicale del mondo nel frattempo paga il conto di disastri climatici non innescati dalle proprie emissioni.

Il problema è che mentre è ormai chiaro come la questione “Loss & Damage” sia il perno relativo alla riuscita o meno di questa Conferenza delle parti, nel frattempo è decisivo il mantenimento degli impegni presi lo scorso anno alla Cop di Glasgow: con le emissioni in crescita, la ripresa post Covid, l’invasione russa e la crisi energetica che hanno portato a un aumento dei combustibili fossili (petrolio e gas soprattutto), al vertice di Sharm aleggia però il sospetto che alcuni leader possano rivedere il tetto degli sforzi fissati per contenere le temperature al di sotto dei +1,5 gradi e, visto che ormai è quasi inevitabile (fa nove anni potremmo superarlo secondo il Global Carbon Budget), vorrebbe spostare l’asticella di qualche grado in più, oppure temporalmente più lontana.

Sarebbe, nel caso, una ulteriore sconfitta, alla quale si aggiungono – oltre alle tante contraddizioni di una blindatissima Cop dove dissenso e diritti umani sono sotto accatto in Egitto – le incapacità di trattare con chiarezza gli sforzi necessari per decarbonizzare e dire addio ai combustibili fossili. Un banale segnale di quest’ultimo passaggio lo si annota sia nel fatto che in Egitto era presente un 25% in più di lobbisti delle fonti fossili rispetto al vertice scozzese, sia che di tassare gli extraprofitti (200 miliardi in soli tre mesi) delle compagnie dell’oil & gas ancora non se ne parla davvero. Per riuscire a ribaltare le sensazioni negative della Cop27 in corso, ci sono ancora pochi giorni: verso il fine settimana sono attese le bozze che daranno un’idea più concreta di quanto negoziato. Se non si arriverà a intese convincenti, le speranze passeranno direttamente per la Cop28 di Dubai, negli Emirati dei grandi petrolieri. Oppure, come ha fatto intendere il governo di Lula con un accenno di candidatura, nel 2025 in Brasile, che fino a poche settimane fa era sotto la presidenza di Bolsonaro, non proprio un amico di foreste e lotta al surriscaldamento globale.

Fonte

Last modified on Martedì, 15 Novembre 2022 22:18

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