Giovedì, 29 Agosto 2019 09:40

Economia “indigena”: relazioni al centro

L’economia degli indigeni amerindi è basata sul principio della relazione e della reciprocità. Monsignor David Aguirre, vescovo di Puerto Maldonado in Perù, sottolinea che l’unica cosa che questi popoli accumulano nella vita sono le relazioni

Presso un popolo indigeno, la responsabilità di “aver cura del bene della casa” spetta a ciascuno. Questa è, a mio avviso, una delle migliori definizioni di “economia”, ovvero della norma per gestire la casa.
L’organizzazione sociale dei popoli amerindi si basa su un’accettazione innata e naturale del limite come condizione della vita. Porsi dei limiti smonta la logica della competizione e dell’esclusione, su cui invece è fondata la cultura neoliberista del capitale, di cui molte società sono impregnate a seguito della globalizzazione.
La logica del limite è precondizione della condivisione. Ogni concezione dell’economia è sottesa da una spiritualità: quella indigena è la “spiritualità della condivisione”.
Con i popoli indigeni si conferma una convinzione: l’esperienza mistica non è distanziarsi, ma inserirsi profondamente nel dialogo con la creazione, nella “casa comune” di cui l’economia tenta di tracciare regole.

Oltre la dittatura tecnologica
La Laudato si’ di papa Francesco, attingendo anche alla spiritualità dei popoli indigeni, offre l’ecologia integrale come antitesi alla tecnocrazia e a un modello economico che uccide. L’ecologia integrale è una comprensione della vita e delle relazioni che non separa la cura del creato dalla dimensione economica, sociale, culturale, politica, e neppure dallo stile di vita quotidiano delle nostre comunità.
La connessione di tutte queste dimensioni si avvicina all’intuizione più profonda del buon vivere, per il quale la natura è incorporata nella storia. Così gli eccessi dell’antropocentrismo sono neutralizzati, perché le relazioni di convivenza, equilibrio e interazione permanente non sono intese soltanto fra persone ma fra tutte le creature.
In Amazzonia si fa spesso riferimento alla tecnologia e allo sviluppo in vista di risolvere l’esclusione di molte persone e comunità dalla fruizione dei propri diritti. Invece, sulla nostra pelle sperimentiamo il contrario: il processo di sviluppo proposto dal capitalismo accentua le divisioni, aumenta le differenze e saccheggia sempre più i beni della natura. Paradossalmente constatiamo che proprio i popoli indigeni sono davvero portatori di una tecnologia sorprendente: da secoli ci insegnano uno stile di vita, di produzione e di sostentamento capace di convivere con la natura, rispettarne i limiti e il ritmo, per crescere con essa.

Ecologia politica
Non esiste un’unica concezione di bem viver, o buen vivir: ogni cultura indigena ha la propria cosmovisione e organizzazione sociale. È inoltre un concetto in continua evoluzione entro ciascuna di queste culture.
In Ecuador e Bolivia è stato assunto e integrato in alcuni principi formali che ispirano addirittura le Costituzioni di questi due Paesi: si tratta di una sfida enorme, che corrisponde a quella che potremmo definire “ecologia politica”.
René Ramirez, economista ecuadoriano, definisce il sumak kawsay, ovvero il buon vivere nella cultura quechua, come «il soddisfacimento delle necessità, il conseguimento di una qualità di vita e di morte dignitose, l’amare ed essere amati, una sana fioritura di tutti e tutte, in pace e armonia con la natura, in vista della propagazione delle culture umane e della biodiversità».

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Last modified on Giovedì, 29 Agosto 2019 09:52

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