Giovedì, 31 Ottobre 2019 21:00

Ancora molto da fare

I musulmani in Italia sono circa due milioni, quasi per metà italiani autoctoni o naturalizzati. Si tratta di una comunità internazionale, proveniente in larga parte da Africa, Asia ed Est Europa, in cui convivono differenze culturali e anche modi di vivere la religione connessi alla provenienza geografica. La situazione delle donne risente fortemente del background culturale dei migranti, che spesso provengono da Paesi dove il sistema patriarcale è dominante

Alimentato dalla poca conoscenza e dalla disinformazione diffusa dai media, in Occidente prevale il pregiudizio che considera l’islam una religione violenta e misogina; ma il pregiudizio è nutrito anche dalla pratica di persone provenienti da Paesi a maggioranza musulmana, che osservano più le tradizioni del loro gruppo sociale che non l’islam dei testi. Una diffusa subcultura musulmana sessista e fortemente discriminatoria nei confronti delle donne è di supporto al maschilismo già presente nelle società di provenienza, poiché il patriarcato domina – in misura diversa – le società arabe, africane e asiatiche, quali che siano le appartenenze religiose.

Cambiamenti generazionali
Se questo si evidenzia nella prima generazione di immigrati, bisogna dire che la generazione di giovani nati e cresciuti in Italia ha modelli culturali diversi e una maggiore pluralità e complessità di visioni. Per questo costoro sono spesso in conflitto con i genitori, che impongono – soprattutto alle ragazze – i propri valori.
Il tentativo di conservare l’identità si basa spesso su assunti che coinvolgono in prima persona le donne, depositarie dell’onore della famiglia e della protezione delle tradizioni religiose e sociali.
I casi di violenza domestica e di femminicidio non sono più numerosi tra le donne straniere musulmane che tra le italiane, ma le prime subiscono atteggiamenti discriminatori e misogini che costituiscono una forma di violenza quotidiana. L’educazione, fin dall’infanzia, fa sentire le bambine inferiori ai bambini e mina la loro autostima. E la religione non aiuta, in quanto prevale una conoscenza sommaria e tradizionale di essa che lascia un grande spazio alla tradizione patriarcale e talvolta giustifica le discriminazioni.

Tradizione o religione?
I dati Istat rivelano che il numero delle donne straniere tra i 16 e i 70 anni che hanno subito violenza fisica o sessuale, stalking e maltrattamenti è lo stesso, in percentuale, delle donne italiane. Ciononostante, i media enfatizzano la violenza domestica all’interno delle comunità straniere, collegandola a fattori culturali specifici piuttosto che ai rapporti di genere e al persistere di una struttura di dominio patriarcale. Soprattutto per quanto riguarda le comunità musulmane, la violenza sulle donne viene ricondotta all’islam e ai dettami contenuti nel Corano e nella Sunna profetica, che costituiscono le due fonti testuali della Sharia.
Ma le cause reali di discriminazione e violenza non dipendono dalla religione: prevalgono infatti là dove le persone hanno minore istruzione e una visione della religione alterata, intrisa di tradizioni culturali.
La posizione islamica sulla violenza in famiglia è chiara, ed è trattata dal Corano, dalla pratica profetica e dall’autorità sapienziale antica e moderna. La violenza e l’abuso nei confronti di un essere umano (uomo o donna che sia) è una violazione grave, sanzionata dalla giurisprudenza islamica.
Nella legge islamica, la violenza in ambito familiare è affrontata sotto il concetto di danno (darar), ovvero non vi ricade solo la violenza fisica ma anche la violazione delle norme che regolano il matrimonio e il mancato riconoscimento dei diritti del coniuge: l’applicazione di tali principi giurisprudenziali lungo i secoli è nota e sono chiari i verdetti emanati contro i mariti violenti.

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Last modified on Giovedì, 31 Ottobre 2019 21:05

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