Venerdì, 28 Gennaio 2022 12:50

Imparare dalle foglie

Un team franco-italo-tedesco sta sviluppando modalità di produrre idrogeno verde a basso costo attraverso l’energia solare. L’8 novembre scorso ha ricevuto il premio “Lombardia è ricerca”: un milione di euro destinati a innovazione e sostenibilità ambientale. Il processo fotocatalitico per produrre idrogeno verde è una prospettiva interessante di “fotosintesi artificiale”.
Pierre Joliot, professore onorario al Collège de France, Markus Antonietti, docente di Chimica all’Università di Potsdam, e Marcella Bonchio, docente di Chimica organica all’Università di Padova, hanno studiato la fotosintesi delle piante per realizzare una “fotosintesi artificiale” che produca idrogeno e ossigeno dall’acqua. Combonifem ne parla con la professoressa Marcella Bonchio

Professoressa Bonchio, da dove viene la sua passione per la ricerca?
Sono nata a Milano. Alle elementari, i primi anni più che seguire le lezioni preferivo giocare e chiacchierare con le amiche, ma la mia maestra ha avuto pazienza: non mi ha lasciata indietro. E la mia mamma non ha mai abbassato la guardia e mi ha sempre stimolato con attenzione: i miei pomeriggi erano pieni di lezioni di inglese e di danza classica. Questo mi ha insegnato a sopportare la fatica e anche gli insuccessi... Anche se mi piaceva tantissimo, non ero certo nata per essere una prima ballerina!

Com’è maturato l’interesse per la fotosintesi artificiale?
Tutto è cominciato a Padova; frequentavo il liceo linguistico Sacro Cuore, dove ho avuto professori validissimi in tutte le materie. Il mio incontro con la chimica è avvenuto attraverso la professoressa Vernier: è stata subito una grande passione. Così non ho avuto dubbi sulla scelta del corso universitario e mi sono iscritta a Chimica nel 1983, quando certamente non era ancora un classico indirizzo per “signorine”. Tuttavia ho avuto bravissime compagne di corso e sono entrata in internato di tesi in un laboratorio a Chimica Organica, dove ho incontrato eccellenti “maestre” che poi sono diventate amiche di una vita. Nello stesso laboratorio di Padova ho svolto il dottorato di ricerca in Chimica – sono stati anni molto divertenti. Lì ho iniziato a lavorare con sistemi artificiali, ovvero realizzati in laboratorio, che imitavano i processi vitali dei sistemi biologici, quali il ciclo acqua-ossigeno.

In che cosa consiste la fotosintesi artificiale?
Partiamo dalla fotosintesi naturale. La natura usa l’energia solare per rompere i legami chimici dell’acqua (H2O): in tal modo libera ossigeno e sostanze reattive che contengono H, gli idruri. Lo ione idruro (H) è il più semplice in natura e consiste di due elettroni e un protone. Gli idruri reagiscono con la CO2 e la trasformano in molecole organiche accumulate nella pianta.

Pertanto, la fotosintesi naturale accoppia il fotosistema di ossidazione (PsII), che scinde la molecola di acqua liberando ossigeno, e il fotosistema di riduzione (PsI) che produce idruri. Il processo di ossidazione è il più difficile dal punto di vista chimico perché richiede tanta energia; la molecola di H2O, infatti, è una delle più stabili sul nostro pianeta. Grazie al PsII la foglia riesce a ossidare la molecola di acqua utilizzando luce solare, ma il PsII è una “macchina” molto complessa e fragile, il cui “cuore” si autodemolisce nel giro di 30 minuti o qualche ora, e viene ricostruito completamente da un meccanismo di autoriparazione della foglia che assorbe moltissima energia. Questo è un “limite” della fotosintesi naturale.

L’acqua costituisce una risorsa rinnovabile e il nostro lavoro ha costruito un sistema totalmente artificiale che replica il meccanismo del PsII naturale in laboratorio ma con una differenza: il materiale fotosintetico è utilizzato in dispositivi fotoelettrocatalitici che accoppiano un sistema di riduzione per ottenere idrogeno verde, ovvero proveniente da fonti rinnovabili come acqua e luce solare.

Come reperite l’energia necessaria a scindere l’acqua?
Ci siamo ispirati alla composizione del fotosistema naturale che si è evoluto costruendo un sistema di antenne per raccogliere l’energia della radiazione solare e trasferirla al centro di reazione, dove la luce viene convertita in energia chimica per produrre “combustibili solari”. Il sistema di antenne è necessario per l’efficienza del sistema, ed è importante sapere come organizzare la struttura di queste antenne perché ci sia una sinergia di azione nel raccogliere e convertire l’energia solare.

Noi abbiamo trasferito questi concetti nel disegno di un sistema che si auto-assembla e porta alla co-localizzazione di “cromofori”, ovvero molecole che assorbono la luce e si organizzano intorno a un centro che scinde la molecola d’acqua. Questo sistema ha le caratteristiche di un quantasoma, ovvero di un unico organismo integrato che converte l’energia dei quanti di luce in combustibili solari derivati dall’acqua.

Dal 2010 avete combinato scoperte delle scienze naturali e delle scienze artificiali…
Sì, abbiamo utilizzato un semiconduttore organico, il perilene, già noto per le sue proprietà di fotoconduzione, ovvero di trasporto di elettroni indotto dalla luce, e lo abbiamo riorganizzato in una struttura diversa, creando una corolla di perileni attorno a un “centro catalitico” che opera la scissione dell’acqua. In questo modo il sistema riesce a somministrare al centro di reazione l’energia sufficiente per “rompere” i legami fortissimi della molecola di acqua e ricavarne elettroni e protoni che poi servono a generare idrogeno. Rispetto al sistema naturale, che usa clorofille, il sistema antenna costruito da perileni è molto più robusto e stabile.

L’8 novembre scorso è stata insignita del premio “Lombardia è ricerca”.
Tra le motivazioni c’è la sostenibilità ambientale e il miglioramento della qualità della vita attraverso nuovi modelli di sviluppo: in che modo la fotosintesi artificiale le promuove?
La fotosintesi artificiale è basata sull’uso di luce e acqua per produrre combustibili solari a impronta di carbonio zero, e metterne a punto la ricerca ci permette anche di indagare i meccanismi del sistema naturale per migliorarne l’efficienza. Stiamo sviluppando sistemi che, insieme al processo naturale, possono contribuire a una rapida sostituzione dei combustibili fossili per un futuro di energia sostenibile. Certo l’attenzione deve essere sempre alta nella ricerca di componenti e materiali che siano compatibili con il nostro ecosistema.

Quali sfide intravede?
Per applicazioni diffuse, la sfida che abbiamo davanti a noi è la quantità di idrogeno verde da produrre. La fotosintesi artificiale dovrà passare dal laboratorio alla produzione con dispositivi dimensionati all’utilizzo necessario.

Entro il 2030, la fotosintesi artificiale potrà contrastare l’emergenza climatica?
Se entro quella data il G20 di Roma ha deciso di piantare a livello mondiale 1.000 miliardi di alberi, penso che la fotosintesi artificiale possa agire nello stesso senso ed essere più veloce.
Il Pnrr è l’occasione dell’Italia per tornare a essere trainante nella ricerca universitaria su questo tema: un secolo fa Giacomo Ciamician aveva descritto questa visione nel suo lavoro pubblicato su Science, “The photochemistry of the Future”. Lui ha aperto la strada a una vera rivoluzione mondiale.

Lei insiste molto sull’approccio interdisciplinare…
Il lavoro che ha ricevuto il premio non sarebbe stato possibile senza la collaborazione con i più bravi fotochimici che abbiamo in Italia e che tutto il mondo ci invidia! Il progetto ha avuto un forte impulso quando abbiamo creato un consorzio di chimici organici, inorganici, fotochimici, elettrochimici e scienziati dei materiali grazie al finanziamento Firb (Fondo per gli investimenti della ricerca di base) nazionale. Credo che il Pnrr potrà essere una splendida occasione per ritornare a fare squadra su questi temi urgenti.

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Last modified on Venerdì, 28 Gennaio 2022 21:13

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