Mercoledì, 29 Giugno 2022 13:32

Festival della Missione 2022, il tocco delle donne

Direttrice artistica del Festival è una donna laica, giornalista impegnata in reportage da zone di frontiera e autrice di libri: Lucia Capuzzi. Con amicizia risponde alle domande di Combonifem

Il 2° Festival della Missione si svolgerà a Milano dal prossimo 29 settembre al 2 ottobre. È frutto della collaborazione tra i due enti promotori (Conferenza degli Istituti Missionari Italiani e Fondazione Missio Italia della Cei) e l’Arcidiocesi di Milano.
Il Comitato culturale Festival della Missione ha nominato direttore generale Agostino Rigon, che dal 2018 dirige l’Ufficio missionario diocesano di Vicenza e dal 2019 coordina la Commissione missionaria Triveneto, mentre la direzione artistica è stata affidata a Lucia Capuzzi, giornalista di Avvenire incaricata della sezione esteri. Questa edizione ha un percorso che prepara all’evento, detto PreFestival, e uno che lo prolungherà, il PostFestival, coinvolgendo parrocchie, scuole, università e carceri.

Una giornalista già tanto oberata da tanto lavoro come te, con quale spirito ha accolto l’invito a essere la direttrice artistica del Festival?
Ho accolto l’invito con entusiasmo e molta gratitudine. Per lavoro ho sempre intercettato il mondo missionario, che è la fonte più preziosa di notizie in certi contesti. Ho conosciuto missionari e missionarie, però mai avrei pensato di essere chiamata a contribuire all’organizzazione del loro Festival. Ho accolto l’invito come un segno di restituzione per quanto mi hanno dato ed è un’avventura molto bella.

Principalmente, in cosa consiste il tuo compito?
Il mio lavoro è “sinodale”, ovvero di condivisione. Nella direzione artistica lavoro con il documentarista Alessandro Galassi: con lui abbiamo pensato il programma artistico e lo abbiamo proposto al direttore generale, a quello operativo, a chi gestisce il settore comunicazione e quello economico. Alessandro e io abbiamo pensato un Festival che esca dal linguaggio “ecclesialese” e parli a tutti e tutte con un linguaggio laico, aperto e contemporaneo.
Lo sforzo è proprio quello di esprimere in linguaggio artistico, semplice e accessibile a chi non ha familiarità con la Chiesa, i contenuti che al mondo missionario non mancano.

Cosa trovi di particolarmente interessante nel “processo” molto articolato che compone il mosaico del Festival della Missione 2022?
In effetti questo Festival è un percorso che si sviluppa in un anno di PreFestival e un anno di PostFestival, e questo gli permette di incarnarsi nella realtà. Non è uno dei tanti eventi che si celebrano dentro e fuori la Chiesa nell’arco dell’anno, ma una modalità continuativa di valorizzare i missionari e le missionarie come finestre aperte su realtà del “Sud del mondo” (in senso geopolitico), e in particolare su quelle che rimangono ai margini e nell’ombra.
La grande sfida è quella del linguaggio: prevalgono ancora generalizzazioni vaghe che non dicono più nulla alla società contemporanea, mentre alcune parole, quali “libertà di pensiero” e “patriarcato”, sono evitate perché ritenute troppo moderne. Non mi sembra opportuno neppure sottolineare che sia un “festival cristiano”, perché la testimonianza di vita è ciò che più conta.
In conclusione, c’è ancora paura a rendere il linguaggio accessibile e incisivo.

Nella realtà “maschile” e talvolta anche “patriarcale” della Chiesa cattolica italiana, avere una direttrice artistica è già una svolta…
In realtà, nell’organizzazione del Festival ci sono molte donne; siamo in tutte le commissioni, da quella di comunicazione a quella economica e di gestione. Talvolta siamo la maggioranza e siamo presenti per pensare e decidere. Letizia Gualdoni, per esempio, guida la comunicazione e Isabella Prati, moglie del direttore generale Agostino Rigon, ha accompagnato dall’inizio la realizzazione di questo “processo”.

Quali sfide inattese sono emerse in relazione al persistere del covid e all’improvvisa guerra in Ucraina?
Il covid lo avevamo messo in conto, ma la guerra in Ucraina è stata una tragedia improvvisa che rende necessario riadattare di continuo il programma, perché la guerra ha generato una grave crisi economica e alimentare a livello mondiale. Comunque il Festival non rincorre l’ultima emergenza, cerca piuttosto di approfondire le questioni e di andare alle cause.
Mi piace concludere con questo messaggio: il mondo missionario non deve spaventarsi per la sua riduzione numerica; cambiano le strutture, ma la missione rimane importante. Si tratta di trovare forme più aderenti alla contemporaneità per un presente sempre più missionario.

Last modified on Mercoledì, 29 Giugno 2022 13:43

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