Lunedì, 28 Giugno 2021 20:35

L’Africa che resiste

Molti Paesi dell’Africa settentrionale e occidentale subiscono gli effetti del riscaldamento climatico; in prevalenza sono “a lenta insorgenza” e inducono continui spostamenti “a goccia” dalle zone rurali alle città. Ci sono iniziative volte a contrastare il degrado ambientale di vasti territori affinché la popolazione non sia più costretta a emigrare. Ne parla Barbara Bendandi, che lavora per la Convenzione Onu contro la desertificazione, e lo dimostra un piccolo progetto avviato in Niger dalla Rete Comuni Solidali

Nel 2020 l’Organizzazione Internazionale per le migrazioni (Oim) ha pubblicato un corposo volume dal titolo Migrazioni nell’Africa occidentale e settentrionale e attraverso il Mediterraneo: tendenze, rischi, sviluppo e gestione.
Il testo, non accessibile in lingua italiana, analizza dati del biennio 2018-19 che permettono di valutare le politiche migratorie regionali, incluse quelle adottate dall’Unione Europea. Informazioni superficiali che si concentrano sui flussi dal Nord Africa all’Europa celano una situazione molto più complessa e articolata: quella degli spostamenti interni all’Africa occidentale e settentrionale.

RISORSE SEMPRE PIÙ SCARSE
Una sezione del volume è dedicata a “Migrazione e sviluppo” e Barbara Bendandi vi analizza il nesso fra cambiamento climatico, insorgenza di conflitti e flussi migratori nel Sahel, dove l’agricoltura dipende in prevalenza dalla regolarità delle piogge stagionali e assorbe circa il 70% della forza lavoro di Niger, Burkina Faso, Mali e Ciad. Ciò rende la regione molto vulnerabile alla siccità e alle violente precipitazioni innescate dall’emergenza climatica. I raccolti non garantiscono più la sicurezza alimentare della popolazione e tanto meno possono procurarle introiti adeguati. L’incremento demografico in condizioni di scarsità di acqua, cibo e pascoli genera conflitti sempre più frequenti fra agricoltori e allevatori durante la transumanza delle mandrie e accentua ulteriormente l’esodo dalle zone rurali verso le città.

La drammatica riduzione del Lago Ciad, scomparso per oltre i tre quarti in mezzo secolo, ha già compromesso le condizioni di vita di circa 15 milioni di agricoltori, pescatori e allevatori in Niger e di 10 milioni in Nigeria. In quest’ultima, anche le zone costiere sono minacciate dalla salificazione ed entro il 2050 l’innalzamento dei mari potrebbe costringere oltre 9 milioni di abitanti ad abbandonarle.

MIGRAZIONE TEMPORANEA E PERMANENTE
La migrazione interna è una caratteristica delle zone semiaride: in passato, durante la stagione secca, molti giovani lasciavano i villaggi per cercare lavoro occasionale in città e fare ritorno al villaggio nel tempo del raccolto. Si trattava di un “pendolarismo” che riduceva il fabbisogno di cibo della famiglia e le procurava alternative fonti di reddito quando le condizioni di vita si facevano più precarie. L’emergenza climatica, riducendo gravemente la produttività del suolo, ha trasformato la migrazione temporanea in permanente.

In Burkina Faso, per esempio, il 74% delle persone intervistate in uno studio del 2017 adduceva la crescente infertilità dei terreni come motivazione per abbandonare i propri villaggi di origine. Ciò innesca un circolo vizioso preoccupante: come le zone montane dell’Italia sono diventate più vulnerabili per il venir meno della cura contadina, l’Africa occidentale assiste a un ulteriore degrado dei terreni agricoli abbandonati dalla popolazione.

ALLA RADICE DEL PROBLEMA, LA TERRA
Il nesso tra degrado ambientale, conflitti e migrazioni invita a non motivare gli spostamenti umani verso l’Europa con una generica “ragione economica”: all’origine degli spostamenti dal Sahel c’è anzitutto una ricorrente insicurezza alimentare indotta dall’innalzamento della temperatura del Pianeta e dalla compromessa fertilità del suolo.
Per contrastare la desertificazione, nel 2016 l’Unione Africana ha avviato un progetto noto come 3S Initiative (sostenibilità, stabilità e sicurezza): le misure di adattamento sono volte a incoraggiare la popolazione a proteggere le foreste e coltivare la terra adottando nuovi metodi di lavoro e colture più resistenti alla siccità.

All’iniziativa, ancora in fase embrionale, hanno aderito 14 Paesi africani: Benin, Burkina Faso, Repubblica Centrafricana, Ciad, Gambia, Ghana, Mali, Marocco, Niger, Nigeria, Ruanda, Senegal, Zambia e Zimbabwe. La finalità perseguita è triplice: rigenerare terreni agricoli degradati, preservando foreste e bacini idrici; procurare opportunità di lavoro giovanile per evitare che la disoccupazione lasci prevalere le lusinghe dei gruppi terroristici; garantire il diritto alla terra per chi coltiva e incoraggiare la nascita di piccole imprese agricole.

 

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Last modified on Lunedì, 28 Giugno 2021 20:40

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