Il grido, benedizione delle donne La visitazione Arcabas
Venerdì, 27 Dicembre 2019 14:07

Il grido, benedizione delle donne

Guardo il tempo presente e immagino con la forza dello sguardo di tante donne che sostengono, anche in modo occulto, la linfa vitale che scorre nella realtà. Come avveniva nei tempi passati, non sempre il nome di queste donne è noto. Scelgo di immaginare con lo sguardo di Maria di Nazaret. Premetto che vorrei toglierla da quelle melense e false interpretazioni che si fanno di lei, in quegli ambienti del perbenismo bigotto cattolico: impeccabile, in continuo dialogo con i suoi addetti fedeli e riconoscibile qui e là per le sue apparizioni. Preferisco lasciarla nel mistero della sua quotidianità, di cui sappiamo quasi niente.

Raccolgo solo la sapienza sottesa, che ci viene da alcuni testi dove si parla di lei. Il primo annuncio, che la colloca misteriosamente coinvolta nella storia di liberazione di tutto il popolo, non è un annuncio privato: riguarda tutto il popolo: «Vi è stato dato un figlio» (Is 9,5). La possibilità di questa vita nuova è per tutti. Poi il racconto prosegue con un’altra scena. Maria, tra confusione, dubbi e stupore, va alla casa della cugina Elisabetta, che per lei è il primo segno certo di quello che sta accadendo. Elisabetta è già incinta di sei mesi, dice il testo (Lc 1,36). L’incontro tra le due donne è ricco in simbologia: la sollecitudine di cura da parte di Maria (Lc 1,39) che entra nella casa (oikos), che non è solo lo spazio di proprietà privata di una famiglia, ma è lo spazio-mondo, quello di ogni essere vivente. Anche quell’evento è per tutte e tutti. In quell’incontro le due donne si abbracciano, e per questo Elisabetta sente sussultare il bambino che custodisce e alimenta nel suo utero. È fremito di gioia, salto di stupore; si sente invasa anche lei dallo Spirito, che è la presenza più importante dell’oikos. Da quell’abbraccio esplode la benedizione: «Benedetto il frutto del tuo utero!».

Che strano: si dice frutto, proprio come il frutto di un albero. Maria è terra; è, come direbbe san Francesco d’Assisi, «pianticella di Dio» (il modo con cui chiamava Chiara). Facendo memoria dell’antico mito della Genesi, di questo frutto potranno mangiare tutti, non ci sarà proibizione per nessuno. Anche quello che avviene tra le due donne è per tutti e tutte. In questo spazio-oikos si esercita una particolare autorità femminile. Da quel momento, dice il testo, esplode il canto di Maria: «Magnifica il Signore l’anima mia» – letteralmente sarebbe: «L’anima mia si dilata» (Lc 1,46). Sappiamo che il contenuto del Magnificat è patrimonio di un’altra donna: Anna (cfr. 1Sam 2). Ancora una volta, la forza del grido dell’attesa di coloro che soffrono situazioni di oppressione. C’è una consapevolezza sovversiva, di desiderio di rovesciamento del reale. Deve accadere qualcosa partendo proprio da quello che lei sta ancora custodendo in modo embrionale nel suo ventre. Forse il Magnificat è un canto davvero embrionale; è una realtà che si sta facendo, che ha bisogno di essere rovesciata, rifatta, curata profondamente e tante volte, rifiutando tutto ciò che è ricchezza superflua e discriminante.

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