Sabato, 02 Aprile 2022 09:19

Il lascito prezioso di Federica

Mariangela Sardi, classe 1933 e suora missionaria comboniana dal 1959, ha guidato la congregazione dal 1992 al 1998 e ci racconta da chi ha raccolto il testimone tra le generazioni di Pie Madri della Nigrizia che ha incontrato

Ai tempi della mia giovinezza andavo a scuola a Monza. Un giorno, appena salita sul tram, vedo una suora vestita di nero con 5 bottoni rossi: è suor Angelide Borgonovo, la prima suora comboniana che incontro nella mia vita. È tornata da poco dall’Uganda, dove è vissuta per più di 15 anni; con semplicità e gioia mi parla della sua esperienza missionaria. Mi colpisce e mi affascina quel che condivide della sua vita spesa nell’evangelizzazione, il catecumenato di adulti di diversi gruppi etnici che vivono in diverse zone del Paese. Con tanto impegno e fatica, ma anche con gioia, ha imparato 9 lingue locali per annunciare l’amore di Dio Padre per ciascuno dei suoi figli e figlie.

Prima di entrare in noviziato, ho visitato più volte la comunità delle comboniane a Erba, dove ho conosciuto un’altra suora animata da forte spirito missionario: Natalia Baggi. Lei mi ha aiutato a conoscere gioie e dolori della vita comboniana in terra africana: i lunghi e faticosi viaggi tra le sabbie del deserto o in zone paludose, l’impegno e l’amore per conoscere la cultura e la spiritualità di popoli ricchi di valori ma non ancora dei valori evangelici, primo fra tutti quello della dignità di ogni persona. Durante il periodo del postulato e del noviziato sono stata accompagnata da suor Gemma Abeni, madre e maestra: con il suo esempio e la sua parola mi ha aiutato a conoscere meglio il Vangelo e anche Comboni e il suo carisma. Lei è stata ed è ancora per me una persona di riferimento, che ricordo con tanta riconoscenza.

Sono diventata Pia Madre della Nigrizia nel 1959, e nel 1960 già ero in Eritrea: in comunità si parlava italiano e anche nella scuola dove insegnavo la lingua usata era quella italiana. Il console d’Italia era fiero del lavoro eccellente delle Pie Madri, che in quel Paese garantivano un “frammento d’Italia”. Grazie a Dio, il Concilio Vaticano II ha trasformato il concetto di missione e anche il nostro modo di “essere missione”: quando sono andata in Ecuador, nel 1975, in comunità si parlava spagnolo, ovvero la lingua del popolo.

Federica Bettari, che ha guidato la congregazione nel non facile passaggio da “prima” a “dopo” il Concilio, è stata per me una grande fonte di ispirazione perché ha svolto il suo servizio con grande profezia. Delle sue tante iniziative ho apprezzato in modo particolare il fatto che abbia aperto la porta della missione a tante comboniane che erano rimaste a lavorare in Italia per garantire alla congregazione le necessarie risorse economiche.

In un istituto per disabili ad Ariccia, vicino a Roma, una quarantina di missionarie svolgevano un servizio prezioso ma non secondo il “carisma” dell’istituto. Molte altre come loro erano occupate nelle cliniche o nelle scuole materne ed elementari: a tutte suor Federica ha dato la possibilità di realizzare la loro vocazione missionaria, e quelle che per l’età avrebbero fatto più fatica a imparare una lingua nuova sono andate in America Latina, dove lo spagnolo è più simile all’italiano.

Federica Bettari, classe 1925, diventa Pia Madre della Nigrizia nel 1947.
Dopo un periodo di lavoro in Italia come insegnante, raggiunge la missione di Gulu, in Uganda, nel 1960.
Dopo il Concilio Vaticano II e il Sessantotto, Chiesa e società sono in radicale trasformazione: in mezzo al guado, tra sentimenti contrastanti di paura e disagio, suor Federica, sesta Superiora generale, traccia con coraggio una linea di demarcazione tra “passato” e “presente”.

Nel “tempo sabbatico” dell’anzianità che adesso vivo, ho ricevuto delicate testimonianze anche da sorelle ammalate. Ho accompagnato una di loro a fare un giro in giardino, spingendo la sua carrozzina fino alla grotta della Madonna: «Abbiamo fatto proprio un bel pellegrinaggio – mi dice –, perché abbiamo pregato».

Prassede Zamperini, da poco deceduta, ogni giorno trascorreva un’ora di adorazione in cappella. Sorda “profonda” e quasi cieca, un giorno mi confida: «Io la voce delle sorelle non la sento, e neppure quella del sacerdote che celebra la messa; ma durante l’adorazione sento benissimo Gesù, mio maestro».
La gioia di vivere in pienezza non ha età!

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Last modified on Sabato, 02 Aprile 2022 09:29

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