Giovedì, 28 Ottobre 2021 15:21

Clima e auto elettrica: una riflessione

Il 30 ottobre, inizia a Roma il vertice dei 20 Paesi economicamente più potenti del mondo: “Persone, Pianeta, Prosperità”. Un punto rilevante dell’agenda è l’emergenza climatica.

L’Accordo di Parigi, trionfalmente sottoscritto nel 2015 da 175 Paesi per limitare il riscaldamento del Pianeta entro 1,5 °C riducendo drasticamente le emissioni di gas serra, è rimasto più una promessa che una realtà.
La transizione ecologica, infatti, non è poesia perché trasporti, industrie e famiglie hanno bisogno di energia, possibilmente anche a basso costo. I Paesi del G20, poi, ne divorano tantissima. Forse per questo Cina e Russia non sono rappresentate dai loro presidenti, Xi Jinping e Putin, fatto che sminuisce molto la portata del veritce, anche in vista della Conferenza Onu sul clima, Cop26, che inizia il 1° novembre 2021a Glasgow.

È assolutamente indispensabile e urgente limitare il riscaldamento climatico, perché i suoi effetti sono disastrosi. La catastrofe ambientale che sta devastando in questi giorni la Sicilia orientale, per esempio, è attribuita all’aumento della temperatura del mare (oltre che a una rovinosa gestione del territorio).

Per “decarbonizzare” l’atmosfera l’avvento delle tanto celebrate auto elettriche può costituire una soluzione? Gli incentivi economici per acquistarla sembrano confermarlo, ma una lettera arrivata in redazione offre altre prospettive. È scritta da un ingegnere meccanico in pensione, Sandro Scotti: “Auto elettrica? Anche no!”.
«In relazione alla CO2, le miniere di nickel, cobalto e litio sono in Repubblica democratica del Congo, Australia e Cile; le batterie e il motore elettrico sono costruiti con questi elementi producendo emissioni pari a quelle che un’auto convenzionale emette percorrendo 60.000 chilometri. Un’auto elettrica produce “emissioni zero” dove è utilizzata ma ne produce moltissime per “nascere” e riesce a compensarle in circa 3-4 anni d’uso. Inoltre il riciclo delle batterie è problematico perché separare gli elementi che le costituiscono ha un forte impatto ambientale. Inoltre, ricaricare le batterie comporterà un aumento incredibile delle infrastrutture di produzione e distribuzione di energia elettrica.

È probabile che quella prodotta da fonti rinnovabili non sia sufficiente e che vengano proposte nuove centrali, casomai nucleari. Una volta prodotta, poi, l’energia elettrica andrà distribuita. Oggi, ogni abitazione standard ha una distribuzione di 3 kW; la ricarica di un’auto elettrica in tempi ragionevoli ne richiede altri 3. In ogni alloggio sarà necessario raddoppiare la potenza disponibile se l’auto è una, ma se in famiglia ce ne fossero di più? Si dovrebbero cambiare tutti i cavi di distribuzione della rete Enel e di quella domestica: in caso di due auto per alloggio, servirebbe un cavo di diametro quasi doppio rispetto all’attuale. Infine, a livello socio-politico sono allarmato dalla corsa ai minerali rari per costruire le batterie, che, come già detto, sono reperibili soltanto in alcuni Paesi. Se questi e la Cina ne monopolizzassero l’estrazione, si potrebbe addirittura rischiare una guerra. E che dire delle decine di migliaia di persone (solo in Italia) che lavorano nel settore dei motori termici e trasmissioni?».

La lettera conclude con un suggerimento volto a mitigare gli svantaggi dell’elettrico e del convenzionale adottando l’ibrido con batterie «almeno come “transizione” verso un futuro di mobilità umana che sia davvero sostenibile e non inquinante».

In conclusione, la transizione ecologica non può procedere a slogan: la riflessione deve essere seria ed esplorare tutte le sue possibili implicazioni.
Una buona notizia è giunta il 26 ottobre, proprio in vista di Cop26 e del G20: 72 istituzioni religiose con più di 4,2 miliardi di dollari di attività gestionali combinate hanno annunciato il disinvestimento dai combustibili fossili.

Le soluzioni si trovano, ma sono complesse: a noi la responsabilità di informarci, riflettere e agire, rinunciando anche a tante piccole e grandi comodità.

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