Il 6 novembre inizia la 27° Conferenza delle parti sul cambiamento climatico, nota come Cop27.
Ha luogo a Sharm el-Sheikh, in Egitto: zona turistica internazionale, peraltro molto costosa.
Per chi rappresenta i movimenti popolari non sarà facile parteciparvi: anche un posto in campeggio è caro, e alloggi alternativi più convenienti sono davvero rari.
Ma è noto che chi organizza le Cop pensa anzitutto alle rappresentanze dei governi, abituate a luoghi prestigiosi ed esclusivi. Eppure, anche a Sharm el-Sheikh molte associazioni e ong saranno presenti, perché, come precisa Ecco, il primo istituto di ricerca italiano, indipendente e senza fini di lucro, dedicato alla transizione energetica e al cambiamento climatico: «questo decennio è l’ultima occasione per realizzare azioni concrete» ed evitare ulteriori disastri climatici e ambientali, perché a ogni latitudine la vita che noi conosciamo è sempre più compromessa.
Seppur sempre condizionate dai “compromessi”, dal 1992 solo due Cop sono state capaci di ratificare degli accordi “di svolta”: Cop21 nel 2015, con l’Accordo di Parigi”, e Cop26 lo scorso anno a Glasgow, con il Patto climatico. Il problema, però, rimane la loro attuazione.
C’è chi prospetta un “punto di svolta storico” a Sharm el-Sheikh: forse l’attuale crisi energetica, causata dall’alto costo del gas e del petrolio, imporrà di adottare più rapidamente le “energie di pace”?
Finora, più che delle energie pulite si è notato il potenziamento delle centrali a carbone, le più inquinanti dal punto di vista climatico, e la riproposta di quelle nucleari, molto rischiose e ben poco sostenibili per le scorie radioattive, anche in Paesi che le avevano già dismesse.
Eppure, come dice un proverbio: «La speranza è l’ultima a morire!» e la speranza, oggi, si chiama Lula, che appena eletto ha affermato: «Monitoreremo e sorveglieremo l’Amazzonia, dove combatteremo ogni attività illegale».
Se lui mantiene fede alle sue promesse, sarà il “polmone del mondo” a dare una mano a Cop27.