Domenica, 26 Settembre 2021 08:55

Colmare le voragini

In un articolo sull’inserto Economia del Corriere della Sera, qualche giorno fa, si leggeva che “In tutta Europa c’è una percentuale maggiore di donne, rispetto agli uomini, che si occupa della cura dei figli, dei lavori domestici e della casa”.

L’organizzazione non-profit Center for Global Development ha misurato in termini di ore la proporzione - o forse è meglio parlare di sproporzione - di tempo speso dalle donne e dagli uomini per questo impegno. Il numero è impressionante, sopratutto durante il periodo dell’emergenza Covid quando le donne hanno fronteggiato 173 ore di “lavoro domestico non retribuito” e gli uomini 59.

Nonostante i governi parlino e promettano, le donne hanno ormai capito che non ci sarà mai uguaglianza se continuerà ad esserci questa disparità. E per questo scelgono di rimandare o rinunciare ad avere figli.

Il 2020 è stato il dodicesimo anno consecutivo di calo delle nascite, meno 3,8% sul 2019. Siamo del 30% sotto ai livelli del 2008 e del 60% sotto al picco di oltre un milione di nascite registrato all’apice del baby boom - dati del Corriere della Sera. La consapevolezza da cui nasce questa scelta è ben espressa anche nella recente inchiesta di Ritanna Armeni. Nella quale si legge: «per una donna – è vero – il sogno della libertà rimane il più grande. Appena raggiunto, sempre insidiato, in costante pericolo. Anche il figlio è un’insidia? Lo è, evidentemente, e fra le più pericolose».

«Non lo vogliono perché sono responsabili e abituate a fare le cose come si deve. Prendi il lavoro. Per farlo bene si devono difendere ogni giorno, essere vigili, non abbassare mai la guardia. E’ possibile mantenere quel livello di attenzione con un neonato a cui cambiare un pannolino? Col bambino da andare a prendere a scuola? No, hanno fatto i loro calcoli e rimangono ferme: un figlio è la fine della libertà che hanno e della felicità che vorrebbero raggiungere. Quindi procedono impavide».

La libertà è fatta di lavoro, studio, affermazione, piacere, sogni di volare più in alto, competizione, desideri, possibilità di espressione, rischi. E per le donne è una volontà che si riflette in ogni ambito della loro vita. In qualsiasi perte del mondo esse vivano.

In molte città d’Italia sabato scorso sono state tante quelle scese in piazza per la libertà al fianco delle donne afghane, con il supporto di associazioni, movimenti e sindacati, unite dalle parole - diventate un hashtag - "Tull Quadze" che in pashtu significa "Tutte le donne".
L'evento ha voluto accendere i riflettori sulle donne afghane - e non solo - perché grazie anche alla pressione della comunità internazionale sia loro consentito di partecipare alla vita politica, accedere al lavoro e all'istruzione, non rinunciare alle conquiste degli ultimi vent’anni.

Due paesi diversi, due libertà diverse, quelle che stanno difendendo. Nella pratica, forse, ma nella teoria queste due lotte sono davvero così diverse?

In entrambi i casi ci vuole un rovesciamento di mentalità. In entrambi i casi ci vogliono soldi, e capacità di spenderli. E onestà nelle spese. Ci vogliono fatti che dimostrino che la maternità non ridurrà la libertà delle donne in Italia, ma che nemmeno un nuovo governo potrà farlo in Afghanistan.

Ci vuole consapevolezza a livello nazionale e internazionale per riuscire a colmare le voragini. Le donne sono pronte.

Last modified on Domenica, 26 Settembre 2021 09:12

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