Martedì, 30 Novembre 2021 20:42

Fraternité

Durante la Seconda guerra mondiale, in un campo di concentramento la giovane Etty Hillesum comprese l’importanza di dare la sua personale risposta all’ingiustizia che travolgeva l’umanità: «Essere un balsamo per molte ferite».

Dal 18 al 26 agosto 2021 eravamo tredici giovani in uno dei territori più attraversati dalle rotte migratorie: Ventimiglia. Insieme a tre missionari comboniani volevamo comprendere personalmente qualcosa di più dei viaggi delle sorelle e dei fratelli migranti. Così ci siamo immersi in una umanità in cammino, bisognosa delle cose più essenziali per vivere: cibo, acqua, vestiti, una coperta per scaldarsi, cure mediche, un luogo in cui trovare riparo e un sorriso di solidarietà e vicinanza.

A servizio
Alla Caritas di Ventimiglia abbiamo dato una mano nella preparazione e distribuzione del cibo a centinaia di persone che venivano per aiuto materiale, informazioni legali e sanitarie, e anche per un sorriso. A volte cercavano un familiare disperso lungo la rotta dalla Libia o dall’Europa dell’Est. Erano persone stremate dall’ennesimo tentativo di attraversare una frontiera resa invalicabile dal colore scuro della loro pelle.
Abbiamo prestato un aiuto materiale anche presso la parrocchia di Bordighera, dove don Rito Alvarez, sacerdote originario della Colombia, ci ha ospitato calorosamente. Abbiamo ascoltato la sua storia di “offrire accoglienza” dal periodo della manifestazione di migranti nel 2015 sugli scogli di Ventimiglia fino a oggi. Don Rito ha letteralmente aperto le porte della chiesa di Sant’Antonio per dare un tetto e una sistemazione dignitosa a centinaia di profughi.

L’Europa non accoglie abbastanza; discriminazioni e violazioni dei diritti spesso sprofondano nel silenzio, ma tra le montagne o lungo i binari della ferrovia attorno a Ventimiglia risuona il grido dell’umanità. Lo scrittore Enzo Barnabà ci ha raccontato le vicissitudini storiche del “sentiero della morte” lungo il quale gli scout hanno tracciato dei segnavia con il simbolo del sole che sorge, ribattezzandolo “cammino della speranza”. Anche noi ne abbiamo percorso un tratto.

In treno…
Per sperimentare almeno un po’ ciò che vivono migliaia di migranti, in una calda giornata di fine agosto abbiamo preso il treno da Ventimiglia fino alla prima stazione francese, Menton-Garavan. Le piccole stazioni ferroviarie sono tutte presidiate dalla polizia, e ancor più oltre il confine. A Menton-Garavan il treno si ferma per far salire un nutrito gruppo di gendarmi francesi che perlustrano con cura ogni vagone per accertarsi che sul treno non vi siano migranti. Qui non conta quanto hai sofferto, chi sei, per cosa stai lottando o qual è il sogno che ti porti dentro; qui si viene discriminati in base al colore della pelle: se è scura ti respingono, anche se sei minorenne. Lo stesso vale per giovani madri con figli in braccio, bagnati da lacrime di disperazione o dalla pioggia torrenziale quando camminano dopo il respingimento alla frontiera. Noi privilegiati, invece, abbiamo potuto proseguire tranquillamente verso Nizza.

Al rientro abbiamo incontrato Martin, referente di Amnesty International in Francia, che ci ha raccontato le problematiche relative all’operato della polizia francese e italiana nei confronti dei migranti: le norme di tutela ci sarebbero, ma non le abbiamo viste applicate nelle stazioni ferroviarie di Ventimiglia e Menton; e neppure ai bordi dell’autostrada o sui sentieri che scavalcano la montagna del confine, sbarrati da filo spinato, o sotto il viadotto-dormitorio lungo il fiume Roya.

Germogli di umanità
Uno dei momenti più intensi lo abbiamo vissuto nei pressi del cimitero di Ventimiglia, dove si trova un grande piazzale. Poco oltre c’è un viadotto sotto il quale vivono accampate centinaia e centinaia di persone in condizioni di vita davvero precarie. Qui avviene la distribuzione serale del cibo portato dalla Caritas e da altri movimenti di solidarietà locali. Un gruppo autogestito porta un generatore di corrente che permette alle tante persone accampate di ricaricare il telefono cellulare e collegarsi al wi-fi per dare notizie di sé alle rispettive famiglie. Quella sera abbiamo constatato che anche nelle situazioni più disperate possono germogliare umanità e solidarietà, e la voglia di rinascere e di ricominciare prevale sempre. Bastano gesti semplici, come quello di ritrovarsi a giocare una partita di pallone insieme ad alcuni di noi, o la disarmante bellezza di una volontaria che si china a fasciare i piedi lacerati di un uomo che, con la determinazione di costruire un futuro migliore per la propria famiglia, ha attraversato un intero continente per arrivare a Ventimiglia.

Nella pressoché totale latitanza delle istituzioni statali, ci ha colpito ancora una volta come la storia si possa fare dal basso, come il volontariato e le associazioni locali di solidarietà siano composti da persone comuni che ogni giorno si spendono gratuitamente per i fratelli e le sorelle migranti, con gesti semplici e nascosti: donare un sorriso o una parola di aiuto, un piatto caldo e la ricarica di corrente per il cellulare.

 

Continua...

Last modified on Martedì, 30 Novembre 2021 20:46

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