Lunedì, 30 Novembre 2020 18:06

Al dolore e alla debolezza non chiudiamo...

Oggi, mattina di Pasqua.
Un’improvvisa bufera di neve s’è abbattuta sull’isola.
Tra le siepi verdi c’era neve. Mio figlio piccolo
m’ha condotto a un alberello d’albicocche lungo il muro
distogliendomi da versi in cui indicavo a dito i
responsabili d’una guerra che può sterminare
il continente, quest’isola, il mio popolo, la mia famiglia
e me. In silenzio.

Bertolt Brecht
Primavera 1938 (I)

Oggi non è mattina di Pasqua, anzi l’ombra che avvolge l’umanità continua ad allungarsi.
Diamo la colpa al virus, ma l’origine viene da molto lontano. Si è spezzato il delicato equilibrio della vita, che è stata sommersa dal denaro e dal falso progresso, mentre le guerre hanno bruciato l’esistenza dell’umanità e di ogni essere vivente. Nel poema di Bertolt Brecht è l’in-significante, l’imprevisto dell’infinitamente piccolo (il fi-glio), che lo prende per mano, proprio quando lui ha un dolore politico assai grande, fra tristezza e paura.
L’in-significante spezza la logica normale del sistema sociopolitico vigente e svela un’altra possibilità, svela l’altrove, un altro gesto, un altro modo:
«M’ha condotto a un alberello d’albicocche lungo il muro distogliendomi da versi in cui indicavo a dito i responsabili d’una guerra…».

Il gesto umanissimo della preoccupazione e del dolore, che nasce dallo sguardo degli in-significanti, coloro che si sintonizzano con il Mistero nascosto nel silenzio della vita. E qui viene il gesto: «In silenzio abbiamo messo una tela di sacco sull’albero infreddolito».

Forse è solo questo ciò che dobbiamo tornare a fare in questo stranissimo momento del reale, in cui tutto sembra separato e disperso, e dunque indebolito. «C’è un verso», per usare l’espressione di Bertolt Brecht, che si interrompe e si deve interrompere per far emergere la nostra sensibilità.
Lo sappiamo: l’in-significante, il nascosto, l’impossibile, nella logica ufficiale del nostro sistema mondiale non è eloquente e non è portatore di particolari forze o energie.
Ma non importa. Dobbiamo provarci; si tratta di calarci nuovamente nel ciclo vitale, lento e imperfetto, ma molto più simile a Dio.

Questa è l’uscita da sé, senza perdere sé stessi, cioè senza perdere l’umanissima pietas della vita.

Last modified on Lunedì, 30 Novembre 2020 18:14

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